GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO: CIBO, CULTURA E INTEGRAZIONE

  • di: Fondazione Valter Longo
  • 20 Giugno 2022

Nella giornata mondiale del rifugiato il 20 giugno la Fondazione Valter Longo Onlus desidera ricordare tutti coloro che fuggono da guerre, violenza, persecuzioni, discriminazioni alla ricerca di pace, inclusione e rispetto per i diritti di tutti.

IL CIBO È CULTURA.E IDENTITÀ

Si desidera anche rammentare come il cibo possa divenire un elemento importante per promuovere l’integrazione e l’incontro tra culture. Avvicinarsi al cibo, alla cucina e alle tradizioni “dell’altro” è un passo iniziale importante per cominciare a comprendere una cultura spesso totalmente sconosciuta o con cui si è entrati solo superficialmente in contatto, per iniziare a indagare nei meandri di universi affascinati e diversi dal nostro e per aprire le mente attraverso prospettive nuove e differenti. Apertura e curiosità guidano spesso coloro che danno inizio a questo percorso e sono qualità da perseguire. È questo lo spirito indagatore e desideroso di conoscere che ha portato i mercanti veneziani nel lontano 1600 ad assaggiare una bevanda scura, sospetta e simile alla pece come il caffè e introdurla da Costantinopoli a Venezia, la prima città in Europa dove sono stati aperti dei caffè e che intratteneva forti legami e scambi con il modo ottomano.

Il cibo rappresenta chi siamo, la nostra cultura, la nostra identità, la nostra storia personale (e non solo), le nostre radici e tradizioni come descrive lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari nel suo testo Il cibo come cultura. Un piatto davanti a noi può raccontare molte storie risalendo a un lontano passato e farci comprendere dinamiche presenti nella realtà odierna. Ad esempio, recenti versioni della pizza con il kebab che si trovano in alcune pizzerie in Italia narrano della pizza quale piatto che risale a centinaia di secoli fa nell’area Mediterraneo, del pomodoro introdotto dalle Americhe in Europa nel 1500 e nella cucina italiana più di un secolo dopo, della nuova migrazione verso la fine del ventesimo secolo in Italia e della accettazione, graduale e pur non senza resistenze, della presenza di altre nazionalità nella nostra penisola.

Custodi di storie, viaggi, migrazioni, carestie, guerre ed anche abbondanza, feste, incontri felici, il cibo e la cucina svelano messaggi importanti. Sono portatori di memorie e identità e si rivestono di un profondo significato emotivo, culturale, sociale e talvolta anche politico.

 I RIFUGIATI, I MIGRANTI E IL CIBO DI CASA E IL CIBO DELL’ALTRO

Da un lato abbiamo i rifugiati e i migranti, dall’altro troviamo le comunità locali e le dinamiche non sono spesso semplici. Per i nuovi arrivati il “cibo di casa”, di una realtà che loro malgrado sono stati costretti ad abbandonare ma che a loro appartiene, rappresenta un mondo a cui sono affettivamente legali ed ha un’importanza culturale ed anche emotiva enorme rivestendosi di nostalgia e senso di perdita. I piatti tradizionali rappresentano casa, famiglia, amici, radici, tradizioni, la propria identità in bilico e fragile in un nuovo Paese. Aggrapparsi a quello che si mangiava in una vita precedente è anche il tentativo di ricordarsi chi si è, da dove si viene e per ricevere ristoro e supporto in una dimensione nuova e sconosciuta che può creare tensione e paura. Questo se lo ricordano bene i migranti italiani nel secolo scorso negli Stati Uniti, chiamati significativamente “mangia maccheroni”.

Il cibo come conforto è una dinamica conosciuta a tutti noi e richiama ricordi ed emozioni spesso lontani nel tempo. La memoria proustiana entra in gioco e ci permette di viaggiare nello spazio e nel tempo grazie a un sapore e un odore come le madeleine dello scrittore francese Marcel Proust, che lo riportavano magicamente alla sua infanzia e alle domeniche mattina con la zia Léonie e alle sue madeleine intinte nel tè. D’altro canto, avvicinarsi alla cultura, anche culinaria, del Paese ospite è un ulteriore tentativo di integrazione e desiderio di appartenenza a una realtà mai sperimentata in precedenza e può portare alcuni, nel corso degli anni, a un rifiuto del passato, incluso del cibo, per buttarsi a capofitto nella novità alla disperata ricerca di sentirsi parte, accettati e “inclusi”. 

I PAESI DI ACCOGLIENZA E IL CIBO: NEOFOBIA, GASTRONAZIONALISMO E LA CALIFORNIA CUISINE

Vi sono poi gli abitanti del Paese di accoglienza, anche loro spesso smarriti di fronte a cambiamenti talvolta veloci e improvvisi della dimensione in cui si trovavano a vivere. La neofobia, la paura di ciò che è nuovo anche a livello alimentare, è una reazione normale di difesa di tutti gli animali e dell’uomo davanti a ciò che non si conosce e che può essere potenzialmente minaccioso per la sopravvivenza. Provata la non pericolosità di ciò che si ha di fronte, è possibile allentare le difese ed aprirsi. Ciò avviene grazie alla “memoria di riconoscimento” che porta a identificare come “sicuri” gli stimoli ricevuti e con loro cibi, oggetti e persone vissuti in precedenza e a creare un senso di “familiarità” che porta a superare il timore. Questo processo è lunghissimo, difficoltoso e non senza ostacoli e può, a seconda dei casi, coinvolgere intere generazioni.

L’atteggiamento assunto nei confronti del “cibo dell’altro” può pertanto anche essere rivelatore di resistenze alla trasformazione che ha luogo nel proprio Paese o di graduale disponibilità ad abbracciare il cambiamento e prenderne parte, senza dimenticare le difficoltà.

Da un lato appare, quindi, quello che la sociologa Michaela De Soucey ha definito come “gastronazionalismo”, che riveste la propria cultura del cibo e le pratiche culinarie di un profondo significato sia culturale che politico per rafforzare il senso di appartenenza a una nazione e l’identità di una comunità, spesso in aperta polemica con “l’altro”. È ciò che è successo in Italia quando, nell’universo politico, sono comparsi slogan che contrapponevano all’autoctona polenta il couscous “straniero”, dimenticando che: 1) il mais proviene dalle Americhe e non è un prodotto europeo; 2) il couscous, o meglio cuscusu, è anche un antico piatto siciliano probabilmente risalente alla dominazione araba della Sicilia nel lontano nono secolo o a influenze successive e che viene citato già nel 1785 nel Vocabolario Siciliano Etimologico, Italiano e Latino di Michele Pasqualino.

D’altro canto, abbiamo invece, situazioni maggiormente fluide e flessibili dove vi è un tentativo di inclusione e vi sono momenti di curiosità e passi per avventurarsi in territori da esplorare: ecco il crearsi nel mondo postmoderno di cucine fusion e una delle prime è proprio quella della soleggiata e multiculturale e maggiormente dinamica California. La California Cuisine ha, infatti, assorbito già dagli anni Settanta le esperienze delle comunità presenti nella propria area (messicana, italiana, francese, cinese, giapponese, indiana, ecc.) unendole, semplificandole ed adattandole per dar vita a un universo culinario dove regnano la freschezza e stagionalità degli ingredienti prodotti localmente (per esempio gli avocado), l’ispirazione tratta da culture diverse, oltre all’attenzione nei confronti della salute che porta a privilegiare prodotti organici. Sono proprio Alice Waters e il suo ristorante Chez Panisse a Berkeley e Wolfgang Puck con il suo Chinois on Main a Santa Monica ad inaugurare questa cucina che ha portato sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo piatti quali, ad esempio, la California-style Pizza, una pizza sottile come quella newyorchese o italiana e con ingredienti freschi e locali quali carciofi, formaggio di capra, avocado, ecc.

Il REFUGEE FOOD FESTIVAL E LA VIA DELLA SOLIDARIETÀ UMANA

Il cibo, necessità primaria e fondamentale, ha quindi un enorme potere ed è messaggero e rivelatore di dinamiche emotive, culturali, sociali e anche politiche. Per questo motivo, prestare attenzione a ciò che si mangia e condividere la tavola con gli altri, come appare in molte tradizioni religiose, sembrano essere elementi importanti e momenti di intensa condivisione e creazione di legami forti.

Per le stesse ragioni, interessante ed ammirevole risulta l’iniziativa del Refugee Food Festival (Festival del cibo dei rifugiati) che ha avuto inizio nel 2016 a Parigi e ha ricevuto nel 2018 il supporto della United Nations Refugee Agency – UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Con il desiderio profondo di superare discriminazioni, stereotipi e conflitti, i ristoranti di molte città europee hanno messo le loro cucine a disposizione di chef migranti in occasione della Giornata mondiale del rifugiato il 20 giugno e hanno aperto le loro porte al pubblico interessato a conoscere “il cibo dell’altro”. Sfortunatamente, la pandemia ha dato una battura d’arresto ai 200 cuochi coinvolti nella realizzazione del festival. Tuttavia, nel 2022, in alcune città il Festival avrà luogo.

Ciò che è importante è che, ora e in futuro, si continua ad agire anche attraverso la tavola, attraverso il cibo, attraverso la condivisione per essere maggiormente solidali ed aperti e per migliorare la situazione in cui tutti ci troviamo a vivere, a partire dai rifugiati stessi che soffrono di strappi e lacerazioni profonde difficili da dimenticare e guarire. Come scriveva il sociologo Zygmut Bauman: “Non credo che esista una soluzione breve e facile all’attuale “problema dei rifugiati”. L’umanità è in crisi e non c’è altra via d’uscita se non la solidarietà umana”.

FONTI

Bauman, Zygmut and Evans Brian. “The Refugee Crisis Is Humanity’s Crisis”. The New York Times, May 2nd 2016.

DeSoucey, Michaela. “Gastronationalism: Food Traditions and Authenticity Politics in the European Union”. American Sociological Review. Volume: 75 issue: 3, page(s): 432-455. June 1, 2010.

  • La Cecla Franco, Pasta and Pizza. Chicago, Prickly Paradigm Press, 2007.

Montanari, Massimo. Il cibo come cultura. Bari: Laterza, 2007.

Proust, Marcel. Alla ricerca del tempo perduto. Milano: Mondadori, 2014.

Ukers, William. All About Coffee. Heritage Illustrated Publishing, 2014.

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