Mangiare tardi aumenta la fame, riduce il consumo energetico e altera il metabolismo

Gli interventi contro l’obesità puntano principalmente a ridurre le calorie nella dieta e ad aumentare l’attività fisica. Tuttavia, anche altri fattori influenzano il bilancio energetico e il rischio di obesità, tra cui il sistema circadiano, ossia l’orologio biologico interno che regola i ritmi di sonno, fame ed energia nelle 24 ore. Alterazioni di questo sistema possono influire sull’equilibrio energetico e rappresentano un fattore di rischio modificabile.

Studi su animali e su pazienti mostrano che mangiare tardi è associato a un rischio maggiore di obesità e a una minore efficacia della dieta nel favorire la perdita di peso. Questo indica che l’orario dei pasti potrebbe influenzare il peso corporeo indipendentemente dalle calorie consumate o bruciate.

Per capire meglio i meccanismi con cui mangiare tardi influisce sul bilancio energetico, ricercatori dell’Harvard Medical School hanno condotto uno studio randomizzato e crossover, analizzano gli effetti di un pasto tardivo su fame, appetito, ormoni come leptina (l’ormone che segnala al corpo che è sazio) e grelina a grelina (ormone che stimola la fame), dispendio energetico, temperatura corporea e metabolismo del tessuto adiposo. Per evitare interferenze da altri fattori, sono stati controllati con precisione l’orario, la quantità e la qualità del cibo, oltre ad attività fisica, sonno ed esposizione alla luce. Lo studio è stato pubblicato su Cell Metabolism.

Lo studio

Lo studio ha coinvolto 16 partecipanti con sovrappeso o obesità, ciascuno sottoposto a due sessioni in laboratorio per testare gli effetti del mangiare tardi (late time eating) e presto (early time eating) in ordine casuale, con un periodo di pausa tra i due schemi. Durante questa pausa, i partecipanti hanno ripreso i loro normali orari e abitudini alimentari. I protocolli in laboratorio erano preceduti da 2-3 settimane di preparazione per stabilizzare i ritmi sonno-veglia e da 3 giorni di dieta controllata per eliminare gli effetti delle abitudini alimentari precedenti. In laboratorio, il sonno dei partecipanti è stato programmato in base al loro ciclo abituale.

Risultati

Mangiare tardi ha condotto a un aumento del senso di fame, dovuto a un’alterazione degli ormoni che regolano l’appetito, con l’aumento del rapporto grelina/leptina e anche ad un aumento del tempo di veglia, mentre riduce il dispendio energetico e la temperatura corporea nelle 24 ore. Tutto ciò porta a sentirsi più affamati e a restare svegli più a lungo. 

L’analisi genetica del tessuto adiposo, inoltre, ha evidenziato cambiamenti nei processi metabolici, come la capacità di immagazzinare più grasso invece di usarlo come energia. 

Dall’analisi dei dati, il sonno, invece, non sembra influenzare questi effetti, poiché la durata e l’efficienza del sonno non differivano tra i programmi di pasti anticipati e ritardati.

Conclusioni

Lo studio ha un protocollo ben strutturato che ha ridotto le interferenze esterne, permettendo di osservare con precisione gli effetti del mangiare tardi. Tuttavia, presenta alcune limitazioni, come la durata breve, il campione limitato e il fatto che le analisi sul tessuto adiposo sono state fatte solo su alcuni partecipanti. Inoltre, sono stati studiati solo gli effetti a breve termine, quindi non si può sapere se mangiare tardi a lungo termine porti a un aumento di peso duraturo.

Tuttavia, i dati ottenuti offrono preziose informazioni fisiologiche e molecolari che potrebbero favorire lo sviluppo di interventi dietetici basati sull’orario dei pasti. Inoltre, i geni identificati potrebbero subire modifiche nell’espressione e rappresentare potenziali bersagli farmacologici e nutrizionali per la prevenzione e il trattamento dell’obesità.

 

Referenze:

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Saltare i pasti: quali rischi per la salute?

Esistono diverse pratiche di digiuno intermittente, ma tutte accumunate da un alternarsi di periodi di restrizione calorica, senza ridurre l’introito di macro- e micronutrienti, fondamentali per una corretta alimentazione, e periodi di normale assunzione di cibo.

Quali siano gli effetti del digiuno sulla salute umana è ancora oggi un argomento fortemente discusso.

Le ricerche e i risultati ottenuti dal Prof. Longo confermano che il digiuno, se eseguito correttamente, favorisce cambiamenti metabolici e cellulari che rallenterebbero il processo di invecchiamento, il quale ritroviamo alla base di molte patologie, come malattie cardiovascolari, il diabete, i tumori e malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. 

Il digiuno intermittente, ossia l’astensione volontaria dal cibo per un determinato numero di ore durante la giornata, spesso comporta la rinuncia a uno dei pasti principali, come la colazione o la cena. Quali sono le possibili implicazioni di questa pratica per la salute?

Uno studio del 2022 dell’Università dell’Iowa, pubblicato sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics, ha evidenziato che rinunciare a uno dei tre pasti principali della giornata (colazione, pranzo o cena) può comportare gravi rischi per la salute, aumentando il rischio di morte prematura. Le premesse sono spaventose, ma vediamo meglio quali sono i risultati di questa pubblicazione.

I rischi di saltare la colazione

Secondo lo studio, condotto su 24.011 adulti statunitensi di età pari o superiore a 40 anni, i partecipanti che saltavano la colazione presentavano un rischio più elevato di morte per malattie cardiovascolari, un dato già confermato da numerosi studi precedenti.

Saltare la colazione è associato a cambiamenti dell’appetito e a una riduzione della sazietà, che possono portare a un successivo eccesso di cibo e a una compromissione della sensibilità all’insulina. Al contrario, consumare regolarmente la colazione contribuisce a mantenere un metabolismo più stabile.

Inoltre, l’abitudine di saltare la colazione è correlata a un maggiore rischio di obesità, dislipidemia, ipertensione, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e malattie neurologiche. Questa pratica comporta anche un apporto calorico giornaliero più basso, spesso carente di nutrienti essenziali, con una tendenza a compensare attraverso il consumo di bevande zuccherate, snack, carne rossa e alcol. Non sorprende, quindi, che sia associata anche a stili di vita meno salutari, come il fumo, il consumo eccessivo di alcol e una ridotta attività fisica.

Anche saltare il pranzo o la cena ha conseguenze, la ma qualità della dieta gioca un ruolo cruciale

Lo studio ha osservato che saltare il pranzo o la cena può anch’esso aumentare il rischio di morte, anche se legato a fattori diversi. Chi salta uno dei pasti principali tende a consumare porzioni più abbondanti e meno salutari nei pasti successivi, spesso in un intervallo temporale ridotto.

Tuttavia, è importante notare che questa associazione diventa meno rilevante se si tiene conto della qualità complessiva della dieta.

Studi precedenti hanno evidenziato che chi salta un pasto principale, come il pranzo, spesso segue un’alimentazione di qualità inferiore, caratterizzata da un minor consumo di frutta e verdura e un maggiore apporto di sodio e cereali raffinati. Questi fattori sono stati associati a un rischio più elevato di mortalità.

Inoltre, le persone che tendono a saltare i pasti sono spesso individui con un livello di istruzione e un reddito familiare più bassi, che seguono una dieta meno equilibrata e fanno maggior uso di snack, fumo e alcol.

Intervalli tra i pasti e limiti dello studio

Lo studio ha introdotto un aspetto innovativo, analizzando il ruolo degli intervalli tra i pasti principali. È emerso che consumare i pasti a distanza di meno di 4-5 ore può essere associato a un aumento della mortalità. Tuttavia, questi risultati vanno interpretati con cautela, poiché lo studio presenta alcuni limiti che ne riducono l’affidabilità. 

Ad esempio, non sono stati considerati gli snack consumati tra i pasti, che potrebbero influenzare gli effetti del digiuno intermittente. Inoltre, i dati sui comportamenti alimentari sono stati auto-riportati, aumentando il rischio di errori o inesattezze. Infine, mancano informazioni su altri aspetti dello stile di vita, come la durata e la qualità del sonno, che potrebbero avere un impatto significativo sull’associazione tra numero di pasti e mortalità.

Questi fattori rendono i risultati dello studio non definitivi. Per ottenere dati più solidi, sarà necessario replicare lo studio considerando tutti i fattori citati e validarlo in altre popolazioni.

La personalizzazione dei protocolli che riguardano il digiuno, così come l’alimentazione di tutti i giorni, è cruciale nell’ottimizzazione della durata della vita e la salute. È importante essere seguiti da un professionista esperto nell’applicazione di tali protocolli, per evitare i rischi del fai da te. Per valutare strategie personalizzate, i nutrizionisti dell’European Longevity Institute della Fondazione Valter Longo Onlus, formati dal Professor Valter Longo, sono disponibili alla mail [email protected] 

 

Referenze

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Una dieta che simula il digiuno potrebbe salvare i reni: ecco come funziona

Un team internazionale di ricercatori ha scoperto che una dieta che simula il digiuno potrebbe rappresentare una nuova speranza per i pazienti affetti da malattia renale cronica, una condizione che spesso porta alla malattia renale allo stadio terminale.

Questo intervento nutrizionale sarebbe in grado di migliorare la funzionalità renale, riducendone i danni e preservando le cellule chiave coinvolte nel processo di filtrazione del sangue.

La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Science Translational Medicine e apre la strada a nuove sperimentazioni cliniche.

Che cos’è la malattia renale cronica?

La malattia renale cronica è causata da una riduzione della capacità dei reni di filtrare le scorie presenti nel sangue. Rappresenta un problema per la salute umana ed è causa di prematura mortalità. Attualmente, non ci sono strategie farmacologiche efficaci nel prevenire il danneggiamento e la perdita delle cellule renali che svolgono una funzione cruciale nel processo di filtrazione del sangue. In aggiunta, ad oggi, si è visto che l’intervento dietetico ha effetti limitati, o addirittura non ha alcun effetto, nel promuovere la rigenerazione e la regressione del danno renale e della malattia.

I risultati dello studio

Sono stati testati gli effetti di una dieta che simula il digiuno, a basso contenuto di sodio, potassio e fosforo, su modelli animali con malattia renale cronica. Dopo 6 cicli, uno ogni due settimane, si è osservato un miglioramento della funzione renale, una riduzione dei danni renali e la preservazione delle cellule chiave coinvolte nel processo di filtrazione sanguigna. Anche dopo un solo ciclo sono stati osservati effetti positivi nella protezione e nel ripristino delle strutture renali. 

“Abbiamo riscontrato che i reni dei modelli animali sottoposti a questo intervento dietetico somigliavano, dal punto di vista cellulare e molecolare, a quelli di animali sani,” spiega la Dr.ssa Laura Perin, co-direttrice del laboratorio che ha condotto lo studio.

E sugli esseri umani?

Gli esperimenti, condotti principalmente su animali, hanno dato risultati promettenti: la dieta che simula il digiuno ha aiutato a ridurre i danni ai reni, migliorare la circolazione e rafforzare la salute del cuore. Questi risultati sono stati confermati anche da uno studio su 13 pazienti con malattia renale cronica, che ha mostrato ulteriori benefici. I pazienti, che avevano una forma avanzata di malattia renale, hanno mostrato miglioramenti dopo tre cicli di dieta, con riduzione dei sintomi e dei danni renali, come minore presenza di proteine o altre sostanze di scarto nelle urine (proteinuria o creatininuria) e una miglior filtrazione dei reni.

Secondo il Professor Valter Longo, “Questi risultati suggeriscono che la dieta che simula il digiuno potrebbe rappresentare un’innovativa strategia per rallentare la progressione delle malattie renali croniche, migliorando la qualità di vita dei pazienti.”

Prospettive future

Questo studio si inserisce nel crescente corpus di ricerche sui benefici della dieta mima digiuno su cancro, diabete e malattie cardiovascolari e apre la strada a nuove sperimentazioni cliniche, alimentando la speranza che la dmd possa rappresentare un’arma preziosa non solo contro cancro, diabete e le malattie renali, ma anche contro una vasta gamma di patologie croniche, contribuendo così a migliorare la salute pubblica e la longevità a livello globale.

 

Referenza: https://www.science.org/doi/10.1126/scitranslmed.adl5514?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed 

Il Digiuno: Beneficio o Rischio? Dipende da come lo definiamo

Rispondere alla domanda “Il digiuno fa bene o fa male?” non è semplice senza una chiara definizione di cosa si intenda per digiuno.

Termini come digiuno intermittente, alimentazione limitata nel tempo, digiuno a breve o lungo termine e digiuno religioso sono ormai diffusi sia nella letteratura scientifica che nella cultura popolare.

Negli ultimi vent’anni, l’interesse per il digiuno è cresciuto esponenzialmente. Gli scienziati ne studiano gli effetti su salute, invecchiamento e longevità, mentre un numero sempre maggiore di persone cerca di beneficiare dei risultati di queste ricerche. Tuttavia, la mancanza di una terminologia chiara e univoca genera confusione, complicando il confronto tra studi e creando difficoltà anche nella pratica clinica.

Per risolvere questa problematica, un recente studio pubblicato su Cell Metabolism ha presentato il primo consenso internazionale sulla terminologia del digiuno. Il risultato è frutto di un lavoro congiunto tra esperti di tutto il mondo e offre una base comune per comprendere e studiare questa pratica.

Lo Studio e il Metodo

Il consenso è stato raggiunto utilizzando il metodo Delphi, una tecnica strutturata che permette di ottenere accordi tra esperti. Al progetto hanno partecipato 38 specialisti, che attraverso cinque round di sondaggi hanno definito 24 termini chiave legati al digiuno. Tra questi esperti naturalmente è presente anche il Prof. Longo, esperto di fama mondiale che studia tale argomento da oltre trent’anni.

Ecco alcune delle definizioni più rilevanti emerse dal consenso:

  • Digiuno: termine generico che comprende l’astensione volontaria da tutti o alcuni alimenti, con o senza bevande, per motivi religiosi, culturali, preventivi, terapeutici o altri.
  • Digiuno secco: astensione totale da cibi e bevande, inclusa l’acqua.
  • Digiuno liquido: consumo esclusivo di bevande per un periodo definito. Sono ammessi succhi di frutta o verdura, brodi vegetali (fino a 500 kcal al giorno), tisane non zuccherate e acqua, ma sono esclusi i liquidi ultra-processati.
  • Digiuno totale: nessun apporto calorico per un periodo specifico.
  • Digiuno modificato: l’apporto calorico non supera il 25% del fabbisogno giornaliero.
  • Restrizione calorica intermittente: alternanza tra periodi di restrizione calorica e alimentazione libera.
  • Digiuno intermittente: sottocategoria della restrizione calorica intermittente che prevede periodi di digiuno ripetuti, fino a un massimo di 48 ore consecutive.
  • Digiuno breve: durata di 2-3 giorni.
  • Digiuno prolungato: durata di almeno 4 giorni consecutivi.

Il Contributo della Dieta Mima-Digiuno e della Limitazione Oraria dei Pasti

Tra i protocolli discussi, particolare attenzione è stata data ai regimi studiati dal Prof. Valter Longo e che fanno parte della Dieta della Longevità:

  • Dieta mima-digiuno: classificata come un regime speciale, induce effetti metabolici simili al digiuno pur consentendo fino a 1.000 kcal al giorno per 3-7 giorni. 
  • Limitazione Oraria dei Pasti (Time-Restricted Eating, TRE): digiuno che coincide normalmente con le ore notturne, senza restrizioni caloriche durante le ore di alimentazione. Per essere considerato TRE, il digiuno deve durare almeno 14 ore al giorno, anche se per molte persone 12 ore possono essere già sufficienti. Molti, ad esempio, lo praticano già, semplicemente cenando presto (esempio: si finisce di fare cena alle 20:30 e si fa colazione alle 8:30). Questa tipologia di digiuno in particolare, così come le altre, deve essere personalizzata a seconda delle caratteristiche individuali e cliniche di ciascuno.

Implicazioni e prospettive future

L’unificazione della terminologia sul digiuno rappresenta un traguardo fondamentale per la standardizzazione della ricerca scientifica e della pratica clinica. Grazie a queste definizioni, sarà possibile confrontare meglio i risultati degli studi e promuovere ulteriori ricerche di alta qualità.

Il consenso prevede una revisione delle definizioni entro cinque anni, garantendo che rimangano aggiornate con le scoperte scientifiche e le esigenze cliniche. 

Il consenso prevede una revisione delle definizioni entro cinque anni, garantendo che rimangano aggiornate con le scoperte scientifiche e le esigenze cliniche.

Conclusioni

Il digiuno è una pratica antica, oggi riscoperta e al centro di un crescente interesse scientifico. La chiarezza terminologica non è solo una questione accademica, ma un passo cruciale per sfruttare al meglio il potenziale del digiuno nella prevenzione e nel trattamento delle malattie croniche, oltre che per migliorare la salute generale.

Grazie a questo consenso, ricercatori e medici dispongono ora di una base comune per esplorare e applicare con maggiore efficacia questa affascinante strategia alimentare.

Referenza: https://www.cell.com/cell-metabolism/fulltext/S1550-4131(24)00269-9 

Come ridurre l’età biologica e diminuire il rischio di sviluppare malattie croniche?

La nuova pubblicazione scientifica su Nature Communications svela quale forma di digiuno rende possibile questi risultati.

“Questo è il primo studio a mostrare che un intervento basato sul cibo che non richiede cambiamenti dietetici cronici o altri cambiamenti dello stile di vita può rendere le persone biologicamente più giovani.” Con questa dichiarazione il Professor Valter Longo riassume il messaggio principale di una nuova pubblicazione scientifica su Nature Communications (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38378685/).

Lo studio si basa sull’analisi di partecipanti a due diversi studi clinici, che hanno effettuato tre cicli di dieta mima-digiuno di 5 giorni. I ricercatori hanno scoperto che le persone che hanno seguito la dieta mima-digiuno hanno avuto come risultato una riduzione della loro età biologica e minor rischio di sviluppare una malattia legata all’avanzare dell’età come cancro, diabete e malattie cardiache.

I partecipanti erano quindi più sani e risultavano più giovani, di circa 2,5 anni.

In che cosa consiste lo studio

La dieta mima-digiuno, sviluppata presso la USC Leonard Davis School of Gerontology in California, USA, è una dieta innovativa progettata per simulare gli effetti del digiuno a sola acqua, fornendo comunque tutti i nutrienti essenziali. Il protocollo, clinicamente testato, consiste in un regime alimentare ipocalorico di cinque giorni ricco di grassi insaturi “salutari” e basso contenuto di proteine e carboidrati semplici. 

Meno malattie, grazie ai cicli digiuno e rialimentazione

Lo studio sottolinea, inoltre, come le strategie di intervento sui processi di invecchiamento dovrebbero iniziare precocemente nell’età adulta per mitigare efficacemente i danni cellulari e molecolari che si accumulano con il passare del tempo. Alternare i cicli di dieta mima-digiuno a periodi di rialimentazione nel lungo periodo facilita l’eliminazione delle componenti cellulari danneggiate e permette la rigenerazione cellulare, contrastando di fatto il deterioramento legato all’età.

La diminuzione dell’età biologica, quando si fanno 3 cicli di dieta mima-digiuno all’anno, tra i 50 e i 70 anni di età può arrivare a 11 anni in meno. 

Ricerche precedenti del Professor Longo hanno indicato che brevi cicli periodici di dieta mima-digiuno possono promuovere diversi benefici sul metabolismo. In particolare, un’ottimizzazione dei valori di colesterolo, pressione arteriosa, trigliceridi, glicemia, infiammazione e IGF-1 (un fattore di crescita insulino simile, che può essere considerato come un fattore di rischio per malattie oncologiche). Inoltre, sono soprattutto i partecipanti con valori iniziali elevati dei fattori di rischio quelli a sperimentare miglioramenti più pronunciati dopo l’intervento della dieta mima-digiuno, sottolineando il suo potenziale come approccio terapeutico personalizzato.

Il miglioramento di questi parametri permette di contrastare la sindrome metabolica, una condizione diffusa legata alla presenza di altre malattie e alla mortalità cardiovascolare.

I nuovi risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, hanno rivelato che coloro che facevano parte del gruppo dieta mima-digiuno avevano minor grasso addominale ed epatico, un indicatore chiave della salute metabolica. I partecipanti mostravano anche un minor rischio di diabete, con, in particolare, una minore resistenza insulinica e livelli ridotti di emoglobina glicata (marcatori cruciali nel controllo del diabete).

Il nuovo studio conferma quindi come l’ottimizzazione di questi parametri abbassi il rischio di sviluppare le principali malattie croniche non trasmissibili come diabete, cancro, malattie cardiovascolari e malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer.

Ringiovanimento del sistema immunitario

A tutto ciò si aggiunge anche un aumento del rapporto linfociti-mieloidi, indicatore di un sistema immunitario più giovane. Un aumento del rapporto linfociti-mieloidi indica, infatti, che nel sistema immunitario ci sono più linfociti, globuli bianchi che svolgono un ruolo cruciale nell’immunità adattativa, rispetto alle cellule mieloidi, coinvolte nell’immunità innata. Questo incremento viene interpretato come segno di un sistema immunitario più giovane o attivo. Poiché i linfociti sono associati a risposte immunitarie specifiche e mirate, un maggior rapporto suggerisce una maggiore efficienza del sistema immunitario nel rispondere alle sfide esterne.

La dieta mima-digiuno, leggendo dunque i dati pubblicati da tale innovativa ricerca scientifica, sembra esercitare effetti positivi sul profilo immunitario, con prove che suggeriscono impatti ringiovanenti sul sistema immunitario, simili a quanto osservato negli studi sugli animali.

Spesso, infatti, l’invecchiamento è accompagnato dall’immunosenescenza, caratterizzata da produzione e funzione alterate delle cellule immunitarie, che portano a una maggiore suscettibilità alle malattie. 

I risultati del nuovo studio sembrano essere indipendenti dalla perdita di peso, che viene ottenuta con la restrizione calorica. L’effetto non è quindi secondario alla perdita di peso, ma specifico di questo protocollo.

In conclusione, le prove accumulate sembrano supportare il ruolo della dieta mima-digiuno come intervento promettente per promuovere l’estensione della salute e mitigare il declino della salute legato all’età. Ulteriori ricerche e studi longitudinali sono necessarie per chiarire gli effetti a lungo termine e ottimizzare l’implementazione di detto regime per strategie personalizzate di gestione della salute.

Come mangiare tra un ciclo di digiuno e l’altro?

Anche l’alimentazione di tutti i giorni, nel suo complesso, influisce sulla salute a lungo termine. Studi sull’invecchiamento e la nutrizione in organismi semplici, roditori, scimmie e esseri umani hanno permesso di collegare la longevità a vie metaboliche e di crescita conservate per delineare il loro ruolo nell’invecchiamento e nelle malattie legate all’età. Una strategia nutrizionale praticabile ed efficace nel ritardare l’invecchiamento e/o prevenire le malattie è la “Dieta della Longevità”. Le caratteristiche si basano sull’analisi di studi scientifici ma anche sulle abitudini dei centenari sani. La personalizzazione della dieta della longevità, che comprende anche la dieta mima-digiuno , è cruciale nell’ottimizzazione della durata della vita e la salute. È importante, per qualsiasi forma di digiuno, essere seguiti da un professionista esperto nell’applicazione di tali protocolli, visti gli alti rischi del fai da te. Per valutare strategie personalizzate, i nutrizionisti dell’European Longevity Institute della Fondazione Valter Longo Onlus, formati dal Professor Valter Longo, sono disponibili all’email [email protected] .

Digiuno intermittente: cos’è, come funziona – ed è adatto a te?

Dalla dieta 5:2 alle 36 ore di astinenza di Rishi Sunak, l’IF (Intermittent Fasting- il digiuno intermittente) è decollato, promettendo di renderti più in forma, più intelligente e persino più giovane. Cosa dicono gli esperti?

Articolo di Amy Fleming, tradotto dalla Fondazione Valter Longo per il pubblico italiano in linea con i suoi scopi di divulgazione scientifica per offrire a tutti gli strumenti per vivere a lungo e in salute.

Fino alla sua recente affermazione come mania salutistica, il digiuno era in gran parte un rituale religioso. Poi gli scienziati della longevità hanno scoperto che i corpi che digiunavano regolarmente vivevano più a lungo, con una migliore salute metabolica e cardiovascolare. Certo, questi corpi appartenevano per lo più a topi, ma ora Rishi Sunak, Elon Musk e molti altri stanno provando il digiuno intermittente (IF – Intermittent Fasting), accompagnati da influencer che ne cantano le lodi e app che si offrono di monitorare quando digiuni e inondarti di messaggi motivazionali.

La prima versione del digiuno intermittente, che ha raggiunto una certa fama, è stata la dieta 5:2, resa popolare da Michael Mosley nel 2012, che prevede la riduzione delle calorie giornaliere a 500 o 600 (a seconda del sesso biologico) in due giorni non consecutivi ogni settimana. Ora sta prendendo piede un regime meno drastico: mangiare in un arco di tempo limitato, in base al quale si prolunga semplicemente il digiuno notturno ad almeno 12 ore. Ciò può significare qualsiasi cosa, dall’evitare gli spuntini dopo una cena anticipata, fino alla versione 16:8, ovvero concentrare tutto il consumo di cibo in otto ore.

La logica è che, quando eravamo cacciatori-raccoglitori e i nostri sistemi corporei si evolvevano per funzionare in equilibrio, l’assenza di supermercati e di cibo prodotto industrialmente significava che il digiuno a volte avveniva in modo naturale. Si ritiene che lo stile di vita di digiuno intermittente possa aiutarci a ripristinare questi sistemi, a evitare le malattie e a vivere più a lungo.

Ma è davvero così semplice? Abbiamo chiesto a una dietologa e a due scienziati che lavorano in questo ambito.

Il digiuno intermittente può davvero cambiare la vita?
Valter Longo, biologo della University of Southern California, studia da circa 30 anni la longevità e gli effetti del digiuno sugli organismi, dai lieviti agli esseri umani. Ha dimostrato che il digiuno può invertire il diabete e aumentare l’efficacia della terapia contro il cancro (anche se sono necessarie ulteriori ricerche in questo ambito). Ma cosa si può dire delle persone preoccupate, delle persone di mezza età che cercano una vecchiaia sana? “Può fare una grande differenza, ma dipende da come lo si fa”, dice.

Ioannis Nezis, professore di biologia cellulare all’Università di Warwick, studia gli effetti cellulari del digiuno. Dice che la risposta è un sì deciso. “La mia ricerca si concentra su come il digiuno attiva un meccanismo chiamato autofagia, che è responsabile del riciclaggio delle proteine danneggiate all’interno delle cellule”, afferma. “Questo è vantaggioso perché le cellule sono pulite e funzionano meglio.”

Dal punto di vista della salute pubblica, Aisling Pigott, dietologa e portavoce della British Dietetic Association, è meno sicura. Sebbene il potenziale sia entusiasmante, afferma, “è solo un’altra idea o dieta confezionata in un formato leggermente diverso. È un altro metodo o strumento per limitare le calorie, ma non sarà una risposta magica”. Ogni giorno è testimone del rapporto unico e complesso che molte persone che convivono con l’obesità, o che vogliono cambiare la forma o dimensione del loro corpo, hanno con il cibo e “che rendono il digiuno non la soluzione migliore”.

Cosa fa al metabolismo?
Il digiuno sembra aumentare la capacità del corpo di digerire e assumere nutrienti dal cibo, senza picchi di zucchero nel sangue, grassi nel sangue, infiammazioni e insulina. “Il metabolismo cambia perché il tuo corpo inizia a utilizzare i depositi di grasso che hai per produrre energia”, afferma Nezis. Nel frattempo, quando l’intestino non digerisce il cibo, l’importantissimo microbioma si rinnova, che comporta una proliferazione di batteri buoni, con conseguenti miglioramenti nella digestione, nella funzione immunitaria, nell’umore, nella pressione sanguigna e altro ancora.

Dovrebbero farlo tutti?

No. Il digiuno non è salutare per tutti, soprattutto per i bambini e per coloro che sono in stato interessante o che soffrono di disturbi alimentari. “Devi essere un adulto ed è importante chiedere prima al tuo medico di famiglia”, dice Nezis. Molte condizioni mediche potrebbero rendere rischioso il digiuno, dice, tra cui la bassa pressione sanguigna, l’anemia, l’essere immunocompromessi e avere problemi allo stomaco, all’intestino o alla cistifellea. Quando mangiamo, la nostra cistifellea scarica la bile nel tratto digestivo; quando digiuniamo, trattiene la bile all’interno per lunghi periodi. “Può concentrarsi e creare ‘fango nella cistifellea’ o calcoli biliari, che possono bloccare il dotto biliare e causare problemi al fegato o al pancreas.” Nel caso di storia familiare di calcoli biliari, si potrebbe essere più suscettibili.

Può causare disturbi alimentari?
“L’ipervigilanza riguardo al peso, o regole molto rigide sugli alimenti, non sono appropriate per le persone con una storia di disturbi alimentari”, afferma Pigott. Inoltre, è stato dimostrato che l’uso di un linguaggio restrittivo in relazione al cibo è “correlato al rischio di obesità”.

Più in generale, dice, l’attenzione sulla scienza dietro il digiuno “ci allontana ulteriormente dalle persone che si fidano del proprio corpo. Vogliamo ancora che qualcun altro ci dia la risposta magica, intralciando i messaggi di base su come nutrire e alimentare i nostri corpi. La dietologa è anche a conoscenza di persone che tentano un’alimentazione restrittiva in famiglie con bambini piccoli, in particolare “del tipo di messaggio che questo invierà loro, in un mondo in cui abbiamo visto esplodere i disturbi alimentari negli ultimi tre o quattro anni”.

Nezis dice che c’è sicuramente il rischio di lasciarsi prendere la mano: “A volte, le persone iniziano con un digiuno di 16 ore e poi dicono: ‘OK, proviamo 24 ore, poi 48…’. Diventano ossessionati. Le persone dovrebbero stare attente”.

Quale routine si dovrebbe scegliere?
Non ci sono dati a lungo termine sul digiuno intermittente, quindi molto dipende dalle opinioni e da ciò che funziona per ciascun individuo. Ma tutti concordano sul fatto che chiudere l’arco temporale in cui si mangia qualche ora prima del sonno aiuterà a dormire profondamente. Detto questo, anche se una cena anticipata può funzionare per molti, Pigott afferma: “In alcune culture, il pasto in famiglia è alle 22:00, quindi dobbiamo adattarci allo stile di vita di tutti”.

Nezis ritiene che un digiuno 16:8, che generalmente significa saltare la colazione, offra tutti i vantaggi. Pensa che si possa tranquillamente digiunare fino a 20 ore, se ci si trova bene, ma le 36 ore settimanali di Sunak sono “piuttosto tante”.

Longo, d’altro canto, raccomanda solo digiuni giornalieri di 12 o 13 ore, perché non abbiamo prove della sicurezza a lungo termine. “Saltare la colazione è associato a una vita più breve, a più malattie cardiovascolari e a molti altri problemi”, afferma. “Solo perché stai mangiando per un arco di tempo limitato, non significa che ti faccia bene.” Per quanto riguarda i calcoli biliari, dice, uno studio epidemiologico del 1991 ha scoperto che le donne che digiunavano più di 14 ore al giorno avevano il doppio delle probabilità di aver bisogno di un intervento chirurgico ad essi correlato: “Alcuni dei grandi ospedali addirittura hanno il digiuno prolungato come fattore di rischio per i calcoli biliari.”

Nezis dice che parte di questo rischio viene evitato se si interrompe il digiuno con un piccolo pasto. “Un pasto molto abbondante spingerà la cistifellea a funzionare molto duramente: questo non va bene. Quando si digiuna, bisogna avere equilibrio in tutto ciò che si fa.”

Quali fasi attraversa un corpo a digiuno?
Le app e i guru del digiuno intermittente spesso elencano quante ore o giorni sono necessari per ottenere vari benefici, come l’autofagia e la chetosi, con cui si converte il grasso in energia. Ma quando si parla con gli scienziati che studiano queste cose, è meno facile attirarli. “La maggior parte delle informazioni che abbiamo sul digiuno e sull’attivazione dell’autofagia si basano su modelli animali”, afferma Nezis. Inoltre, siamo tutti fisiologicamente diversi e anche a livello comportamentale. “Siamo di dimensioni diverse; dipende dall’età.”

Si ritiene che l’autofagia non entri completamente in azione prima di circa due o tre giorni di digiuno. Nezis non lo contesta. “Tuttavia, si ritiene che il digiuno quotidiano 16:8 o 18:6 per un periodo prolungato attivi l’autofagia probabilmente in modo cumulativo”, afferma. “Nel complesso, sono necessari ulteriori studi sugli esseri umani per avere un quadro chiaro”.

Inoltre, dice, concentrarsi su ciò che accade ora per ora non coglie il punto. “Si possono vedere gli effetti del digiuno intermittente sulla salute generale dopo due o tre mesi. Se si fa un esame del sangue di tanto in tanto e poi un altro dopo tre mesi di digiuno intermittente, tutti i parametri del sangue saranno migliori: colesterolo, zucchero, tutto.”

Detto questo, dopo circa 16 ore, dice Pigott, “il corpo produrrà ‘chetoni da fame’, quindi inizierà a scomporre le riserve di grasso e muscoli. Ma ognuno è diverso. Dal punto di vista medico, la modalità di fame non significa morire di fame. Tuttavia, spiega, spesso può “portare a una sorta di perdita di liquidi che può causare una perdita di peso a breve termine. Come ogni cosa, se qualcosa è una soluzione a breve termine, non appena si smette di farlo, si vedrà un recupero di peso.”

Come Nezis, Longo pensa che fissarsi su tempi e funzioni precise sia inutile. “L’autofagia è solo una di quelle cose che accadono. Potrebbe accadere in una cella, potrebbe non accadere. È uno dei tanti meccanismi di riparazione cellulare”. In ogni caso, il digiuno non è l’unico modo per accelerare questo processo naturale. Anche l’esercizio fisico può indurlo.

Come iniziare?
Piano piano è meglio, dice Longo. Non essere tentato di andare all-in per una vittoria veloce. “Ci vogliono due anni per riportare le persone in uno stato di salute”, dice Longo delle sue cliniche. “Sono diabetici [di tipo 2] e soffrono di malattie cardiovascolari e ipertensione. Prendi tempo, ottieni alcuni piccoli benefici metabolici, la resistenza all’insulina migliorerà e alla fine i piccoli benefici diventeranno grandi benefici. L’importante è rimanere costanti”.

È corretto consumare le calorie abituali durante l’arco di tempo in cui si mangia?
Non c’è dubbio che se si assumono meno calorie come sottoprodotto del digiuno intermittente, si possono ottenere benefici anche solo da questo. Le diete ipocaloriche prolungano la durata della vita e migliorano la salute cardiovascolare, la funzione cerebrale, la salute mentale e il sistema immunitario. “Ciò è verificato al 100% nei modelli animali e possiamo vederlo in diverse regioni del mondo dove le persone assumono meno calorie e vivono più di 100 anni”, afferma Nezis.

Secondo gli studi di Longo, probabilmente si perderà peso con il digiuno anche se complessivamente si avrà lo stesso apporto calorico. Ma dice anche: “Non penso che la gente debba contare le calorie – è inutile. Penso che le persone dovrebbero chiedersi: ho ricevuto il giusto nutrimento?” Il digiuno non dovrebbe mai essere visto come un modo per permettersi di abbuffarsi di cibo spazzatura per il resto del tempo. “Ciò mette in una situazione potenzialmente pericolosa, soprattutto se si salta la colazione. Vent’anni dopo, potrebbe rivelarsi un disastro”.

È corretto fare attività fisica quando si è a digiuno?
Un altro argomento dibattuto. Pigott invita alla cautela se si estende il digiuno notturno fino all’ora di pranzo del giorno successivo: “Si stanno davvero limitando il numero di ore in cui poter dare al proprio corpo cibi nutrienti. Se si aggiunge l’esercizio fisico al mix, si allunga il periodo in cui non si stanno rifornendo i muscoli.” Longo ritiene che una corsa vada bene dopo circa 13 ore di digiuno, purché ci si senta bene e si assuma un po’ di proteine subito dopo. “Finché si riesce a sostenere quella corsa e non si diventa ipoglicemici, non c’è motivo per cui non poterlo fare. Bisogna solo far attenzione e non iniziare improvvisamente a correre 10 km se non si ha cenato.”

Invecchiando, perdiamo massa muscolare, quindi è necessario prestare maggiore attenzione quando si invecchia. “È importante avere una fonte di proteine nella dieta per poter mantenere i muscoli”, afferma Nezis. Ma, come lui stesso sottolinea, lo spreco muscolare viene mitigato anche dall’esercizio fisico.

Qualche consiglio per affrontare i morsi della fame?
Nezis consiglia di aggiungere un po’ di sapore all’acqua – “succo di limone, o pezzi di arancia o cetriolo, per renderla gustosa. Nel complesso, bere acqua darà un senso di sazietà”.

E gli sbalzi d’umore?
“Bisogna provare a fare attività che fanno sentire bene”, dice Nezis. “Se si hanno sbalzi d’umore perché si vuole mangiare del cioccolato, allora bisogna fare qualcos’altro che dia piacere, come guardare un film o ascoltare musica.”

Il digiuno può davvero aumentare la potenza del proprio cervello?
Come afferma Nezis, il miglioramento della funzione cerebrale generalmente si accompagna a una migliore salute sistemica: “Quando si hanno cellule che hanno tassi metabolici migliori e componenti meno danneggiati, funzionano meglio, il che è particolarmente importante per i neuroni”. Questo perché nasciamo con la maggior parte dei nostri neuroni e difficilmente ne produciamo di più una volta passata l’infanzia.

Longo, nel frattempo, ha dati sui topi che indicano miglioramenti nell’apprendimento e nella memoria dopo il digiuno, quindi dice: “Probabilmente sì, soprattutto se ora si dorme meglio e se il metabolismo è migliore. Va tenuto presente che il diabete quasi raddoppia il rischio di malattia di Alzheimer”. Aggiunge che – sempre nei topi – il digiuno, o una dieta mima-digiuno, può avere un effetto anche sulle malattie neurodegenerative.

Tutto questo renderà più giovane?
Vediamola in questo modo, dice Nezis: “Quando la salute generale è migliore, si vive più a lungo, vivi una vita migliore e ci si sente più giovane”.

 

*Questo articolo è stato modificato il 12 febbraio 2024 per chiarire che Valter Longo si riferiva al trattamento dei pazienti diabetici di tipo 2 nei suoi ambulatori.

Il digiuno potrebbe ridurre i segni della malattia di Alzheimer, gli studi suggeriscono: “Effetti profondi”

I topi che mangiavano seguendo un programma con restrizioni temporali hanno mostrato miglioramenti della memoria e meno segni di demenza

Di Melissa Rudy – Fox News

Pubblicato il 6 dicembre 2023 alle 6:25 EST

Tradotto da Fondazione Valter Longo Onlus per il pubblico italiano

È stato dimostrato che ciò che le persone mangiano può aiutare a prevenire o rallentare la malattia di Alzheimer, ma cosa si può dire riguardo quando mangiano?

Praticare il digiuno intermittente (con restrizioni temporali) potrebbe portare a un ridotto rischio di deterioramento cognitivo, suggerisce un recente studio pubblicato sulla rivista “Cell Metabolism”.

I ricercatori della School of Medicine dell’University of California a San Diego hanno modificato il programma di alimentazione di alcuni gruppi di topi in modo che mangiassero solo entro finestre di sei ore ogni giorno.

(I ricercatori hanno osservato che ciò equivarrebbe a 14 ore di digiuno per gli esseri umani)

Rispetto a un gruppo di controllo di topi che mangiavano a volontà, i topi a digiuno hanno mostrato miglioramenti nella memoria, erano meno iperattivi la sera e avevano meno interruzioni del sonno.

Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Cell Metabolism, la partecipazione al digiuno intermittente (con restrizioni temporali) potrebbe portare a una riduzione del rischio di deterioramento cognitivo.

È stato anche dimostrato che hanno un minore accumulo di proteine amiloidi nel cervello, che è un segno distintivo della malattia di Alzheimer.

A detta dei ricercatori, l’obiettivo della restrizione alimentare è ripristinare il ritmo circadiano, che potrebbe aiutare a contrastare i numerosi disturbi che i pazienti di Alzheimer affrontano quando si tratta di sonno e confusione legata agli orari.

“Il nostro studio enfatizza il potere dei tempi di alimentazione nell’allineare l’orologio circadiano e il suo impatto sul cervello”, ha detto l’autrice principale dello studio Paula Desplats, PhD, professoressa presso il Dipartimento di Neuroscienze della UC San Diego School of Medicine, in una dichiarazione a Fox News Digital.

“Speravamo di vedere alcuni miglioramenti nella patologia, ma non ci aspettavamo effetti così profondi nella riduzione delle placche e dell’infiammazione e nel miglioramento della memoria”, ha continuato.

Rispetto a un gruppo di controllo di topi che mangiavano a volontà, i topi a digiuno hanno mostrato miglioramenti nella memoria, erano meno iperattivi la sera e avevano meno interruzioni del sonno.

“Gli effetti della restrizione oraria dei pasti sulla riduzione dell’accumulo patologico di proteina amiloide erano misurabili anche nel sangue utilizzando marcatori clinicamente rilevabili, il che è stata un’altra scoperta importante.”

I ricercatori sperano che questi risultati portino a sperimentazioni sull’uomo.

L’obiettivo è ottenere finanziamenti per avviare uno studio pilota sui pazienti il prossimo anno.

“Interventi accessibili come questo hanno un grande potenziale di traslazione nella pratica clinica, poiché sono disponibili e di solito sono molto ben tollerati”, ha affermato Desplats.

L’obiettivo è ottenere finanziamenti per avviare uno studio pilota sui pazienti il prossimo anno.

“Ciò potrebbe avere particolare importanza per gli anziani, poiché ridurre le ore in cui si mangia non richiede limitazioni di calorie o cambiamenti nella dieta, ma può offrire importanti benefici che vanno dalla regolazione metabolica e del sonno al potenziale miglioramento cognitivo”.

Tuttavia, l’adozione di un nuovo programma dietetico non dovrebbe sostituire le cure mediche, poiché Desplats ha sottolineato l’importanza delle discussioni dei pazienti sulle opzioni con i loro medici.

Secondo l’Alzheimer’s Association, più di sei milioni di americani di tutte le età soffrono di Alzheimer e ogni 67 secondi qualcuno in America sviluppa la malattia.

Uno dei limiti principali dello studio è che utilizza modelli animali che rappresentano solo alcuni aspetti della malattia e “non presentano comorbilità o altre malattie cliniche associate all’invecchiamento, che sono molto comuni nei pazienti con Alzheimer”, ha osservato Desplats.

“Inoltre, lo studio è stato condotto in condizioni rigorosamente controllate che non assomigliavano alla varietà delle abitudini e degli ambienti delle persone”, ha aggiunto.

I ricercatori sperano che il pubblico riconosca l’importanza dell’orologio circadiano nella regolazione di molti aspetti della salute.

“Mantenere un sonno sano e abitudini alimentari più sincronizzate con l’ambiente naturale è vitale in una società costantemente esposta al cibo, alla luce e al lavoro a turni”, ha affermato Desplats.

“Le diete mima-digiuno hanno il potenziale di ridurre drasticamente molti fattori di rischio di invecchiamento e di malattia riducendo la neuro-infiammazione o la produzione di superossido nel cervello”, ha detto un ricercatore a Fox News Digital.

Studi precedenti hanno supportato questa associazione tra il digiuno e la riduzione del rischio di Alzheimer.

L’anno scorso, uno studio condotto dalla USC Leonard Davis School of Gerontology di Los Angeles ha anche scoperto che i topi che seguivano una dieta con digiuno mostravano livelli più bassi di “placche e grovigli” nel cervello, una ridotta infiammazione cerebrale e prestazioni migliori nei test cognitivi.

“I cicli di una dieta mima-digiuno (FMD) hanno avuto effetti forti contro i sintomi dell’Alzheimer in due diversi tipi di modelli murini di Alzheimer”, ha detto a Fox News Digital l’autore principale di questo studio, il biogerontologo dell’USC Dr. Valter Longo.

“Il digiuno diminuisce i fattori pro-invecchiamento che vengono secreti dopo aver mangiato, il che può rallentare l’invecchiamento del cervello.”

“Nei topi, gli effetti dei cicli dieta mima-digiuno erano molto forti e ampi, nel senso che hanno influenzato sia l’apprendimento che la memoria, nonché i peptidi/proteine della patologia dell’Alzheimer (amiloide e tau).”

Sulla base di questi risultati, Longo raccomanda alle persone di parlare con il proprio neurologo per prendere in considerazione diete mima-digiuno e altri approcci basati sulla nutrizione a supporto di farmaci e terapie standard.

“Soprattutto per il morbo di Alzheimer, per il quale gli interventi farmacologici hanno avuto un’efficacia molto limitata, sarà molto importante continuare a studiare diete mima-digiuno e altri interventi dietetici che possano rendere i farmaci più efficaci”, ha aggiunto.

La differenza principale è che abbiamo testato un approccio che non richiede la riduzione delle calorie e che potrebbe essere più sostenibile e sicuro per le persone anziane il cui metabolismo è già influenzato dai cambiamenti legati all’invecchiamento.”

Desplats, autrice principale dello studio della UC San Diego, ha detto a Fox News Digital che gli studi di Longo seguono un percorso simile al proprio, dimostrando la connessione tra metabolismo, digiuno e salute del cervello.

“La differenza principale è che abbiamo testato un approccio che non richiede la riduzione delle calorie, che potrebbe essere più sostenibile e sicuro per le persone anziane il cui metabolismo è già influenzato dai cambiamenti dell’invecchiamento”, ha affermato.

Nello studio della USC è stato coinvolto anche il dottor Joseph Antoun, amministratore delegato e presidente della società nutritech L-Nutra in California.

“In questi studi, i topi nutriti con una dieta mima-digiuno hanno mostrato un miglioramento delle prestazioni cognitive, dell’apprendimento motorio e della memoria sia a breve che a lungo termine, e promozione della crescita di nuovi neuroni nel cervello”, ha detto a Fox News Digital via e-mail.

“Le diete mima-digiuno hanno il potenziale di ridurre drasticamente molti fattori di rischio di invecchiamento e di malattia riducendo la neuroinfiammazione o la produzione di superossido nel cervello.”

I topi che hanno seguito una dieta di digiuno hanno mostrato livelli più bassi di “placche e grovigli” nel cervello, che sono noti per essere i segni distintivi della malattia di Alzheimer nel cervello umano.

Il digiuno può aiutare il cervello a funzionare in una miriade di modi, ha affermato Antoun.

“Il digiuno diminuisce i fattori pro-invecchiamento che vengono secreti dopo aver mangiato, il che può rallentare l’invecchiamento del cervello”, ha detto a Fox News Digital in una dichiarazione via email.

Mangiare in tempi limitati può anche migliorare la qualità del sonno, il che può aiutare il cervello a riprendersi meglio.

Poiché le diete mima-digiuno possono essere seguite per periodi più lunghi, possono aiutare il corpo a raggiungere livelli più elevati di chetosi, ha osservato Antoun, “il che è meraviglioso per il cervello”.

(È stato dimostrato che la chetosi, ovvero quando il corpo brucia i grassi per produrre energia invece del glucosio, ha benefici cognitivi.)

“Il digiuno prolungato può anche aiutare con l’intestino permeabile, che quindi può aiutare il cervello”, ha aggiunto Antoun.

Inoltre, il digiuno intermittente può aiutare a controllare lo zucchero nel sangue, il che può rallentare la progressione dell’Alzheimer, ha detto il medico.

Secondo i ricercatori, l’adozione di un nuovo modello alimentare non dovrebbe sostituire le cure mediche.

Negli ultimi decenni si è registrato un aumento costante delle diagnosi di malattia di Alzheimer, ha osservato Antoun.

“Tuttavia, quando siamo in grado di rilevare precocemente le condizioni neurodegenerative, possiamo adottare misure positive che potrebbero rallentare il processo e mitigare eventuali effetti collaterali importanti del disturbo”, ha affermato.

Durante periodi prolungati di digiuno, le cellule subiscono un processo chiamato autofagia, che comporta la rimozione e il riciclaggio dei componenti cellulari danneggiati, ha detto Antoun.

“Questo processo è essenziale per mantenere una corretta funzione cellulare e può aiutare a proteggere il cervello dalle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer”, ha spiegato.

Secondo l’Alzheimer’s Association, più di sei milioni di americani di tutte le età soffrono di Alzheimer e ogni 67 secondi qualcuno in America sviluppa la malattia.

Longevità e invecchiamento attivo

Tratto da Modulo24 Terzo Settore 

 

Negli ultimi decenni, l’umanità ha assistito a notevoli progressi nella medicina e nella ricerca scientifica, con conseguente aumento dell’aspettativa di vita. Tuttavia, l’invecchiamento porta sfide significative, come malattie croniche tra cui tumori, diabete, obesità, malattie cardiovascolari, autoimmuni come il Morbo di Crohn e la sclerosi multipla, e patologie neurodegenerative come l’Alzheimer.

In Italia, ipertensione, cardiopatie ischemiche e diabete di tipo 2 sono responsabili di oltre un terzo delle morti premature, insieme alle patologie tumorali. Queste malattie sono in gran parte evitabili grazie a modifiche nella dieta e nello stile di vita, mirate a promuovere la longevità sana e a mantenere un peso adeguato. Oltre a cattiva alimentazione, uno stile di vita sedentario, il tabagismo, l’eccesso di alcol e la genetica, che rappresentano importanti fattori di rischio per lo sviluppo di queste patologie, il principale responsabile risulta essere l’avanzamento dell’età. L’invecchiamento cellulare e il declino del sistema immunitario, infatti, rendono più vulnerabili.

Intervenire direttamente sull’invecchiamento, quindi, è più efficace nel promuovere la salute rispetto a cercare di curare malattie specifiche singolarmente. A livello nutrizionale, l’approccio più noto è la restrizione calorica, ma ha dimostrato di avere effetti negativi sulla salute, specialmente sul sistema immunitario. La Dieta della Longevità, insieme a specifici periodi di digiuno possono contribuire a ringiovanire il sistema immunitario, in quanto agiscono specificamente sui geni che regolano l’invecchiamento, e che sono stati identificati, tra gli altri, dal Prof. Valter Longo.
Questo nuovo approccio si concentra sulla promozione della longevità sana e sull’invecchiamento attivo. Recenti ricerche hanno evidenziato che l’adozione di uno stile di vita sano può contribuire a prevenire molte malattie evitabili. Alcuni esempi pratici dell’importanza del corretto stile di vita sulla durata della salute derivano dai dati riportati ad esempio in una metanalisi del 2012 pubblicata su «Preventive Medicine» dove erano stati raccolti i dati di più di mezzo milione di partecipanti di Stati Uniti, Europa, Cina e Giappone per una media di 13 anni.

 

I dati suggerivano che due terzi (66%) delle morti premature erano associati a comportamenti poco salutari come il tabagismo, l’eccessivo consumo di alcol, la sedentarietà, una dieta scorretta e l’obesità.[1] Più recentemente, un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard ha pubblicato su Circulation i dati su più di 120.000 persone. Dall’analisi statistica, è emerso che donne e uomini che seguono un corretto stile di vita possono vivere 14 e 12 anni in più, rispettivamente. L’aspetto ancor più importante è che questi anni in più sono in salute, in quanto le persone che hanno seguito uno stile di vita salutare presentano un rischio dell’82% in meno di morire di malattie cardiovascolari e del 65% in meno di morire di tumori.[2]
In un successivo aggiornamento dello studio è stato riportato che l’adesione a uno stile di vita sano è associato anche ad un minor rischio di incorrere in diabete di tipo 2. [3]

In base a metanalisi e dati dallo studio «Global Burden of Disease»,[4] è stato stimato come la longevità cambi con modifiche alimentari. L’alimentazione ideale per poter vivere bene e a lungo prevede un’assunzione sostanzialmente più elevata rispetto a una dieta tipica di cereali integrali, legumi, pesce, frutta, verdura e include una manciata di frutta a guscio, con la concomitante riduzione di carne rossa, carne processata, bevande zuccherate e cereali raffinati.

Tale cambiamento, se sostenuto a partire dai 20 anni aumenterebbe la longevità sana di oltre un decennio per le donne (10,7 anni) e gli uomini (13,0 anni). Un cambiamento a 60 anni l’aumenterebbe di 8,0 anni per le donne e 8,8 anni per gli uomini, mentre gli ottantenni guadagnerebbero 3,4 anni, suggerendo come un cambiamento dietetico in linea con la dieta della longevità può portare notevoli benefici per la salute a tutte le età.[5] Intervenire in modo preventivo sullo stile di vita può essere fondamentale per  promuovere una longevità sana e ridurre la pressione sulla spesa sanitaria pubblica. Investire su una rinnovata sensibilizzazione individuale, oltre che istituzionale e sanitaria, consentirà alle persone di comprendere il ruolo fondamentale sulla salute di un corretto stile di vita e scelte alimentari consapevoli. Ottimizzare una longevità sana, promuovendo stili di vita salutari e abitudini alimentari che possano rallentare e contrastare l’insorgenza di importanti patologie correlate all’avanzare dell’età o non trasmissibili, è alla base della missione di Fondazione Valter Longo, organizzazione non profit che lavora quotidianamente da un punto di vista preventivo e terapeutico per consentire a tutti i cittadini di condurre una vita in salute, attiva e indipendente, pur invecchiando in maniera sana.

La recente Riforma del Terzo Settore si pone l’obiettivo di sostenere un sistema sociale ed economico che si affianca alle istituzioni pubbliche e al mercato e che interagisce con entrambi per l’interesse delle comunità.
Tale intento è la chiave anche per superare gli attuali limiti del Sistema  sanitario nazionale e per ridurre l’ingente e crescente spesa sanitaria per cure, ospedalizzazioni e riabilitazione. È auspicabile, dunque, un pieno sostegno e riconoscimento del ruolo del Non Profit nell’attuale sanità nazionale, così che l’attuazione della riforma possa realmente portare alla creazione di sistemi maggiormente integrati tra politiche pubbliche e welfare privato sociale, ossia tra sistema sanitario pubblico e quello costruito dagli enti del Terzo Settore, che andrebbe riconosciuto pienamente come parte di una complessiva offerta pubblica, specificamente rivolta alle fasce sociali più basse.

Fondazione Valter Longo
Dott.ssa Romina Ines Cervigni, Responsabile Scientifico
Avv. Antonluca Matarazzo, Amministratore Delegato

[1] Loef M., Walach H., «The Combined Effects of Healthy
Lifestyle Behaviors on All Cause Mortality: a Systematic
Review and Meta-Analysis», PrevMed, 2012; 55:163–170.
doi: 10.1016/j.ypmed.2012.06.017.
[2] Yanping Li, An Pan, Dong D. Wang, Xiaoran Liu,
KlodianDhana, Oscar H. Franco, Stephen Kaptoge,
Emanuele Di Angelantonio, Meir Stampfer, Walter C.

p1xkn6zxen – Il Sole 24 Ore S.p.A. – Gruppo 24ORE RIPRODUZIONE RISER
VATA
Willett, Frank B. Hu, «Impact of Healthy Lifestyle Factors on
Life Expectancies in the US Population», Circulation, 2018
Apr 30. doi: 10.1161/Circulation aha.117.032047.
[3] Li Y, Schoufour J, Wang DD, Dhana K, Pan A, Liu X, Song
M, Liu G, Shin HJ, Sun Q, Al-Shaar L, Wang M, Rimm EB,
Hertzmark E, Stampfer MJ, Willett WC, Franco OH, Hu FB,
«Healthy lifestyle and life expectancy free of cancer,
cardiovascular disease, and type 2 diabetes: prospective
cohort study», BMJ, 2020 Jan 8; 368:l6669. doi:
10.1136/bmj.l6669. PMID: 31915124; PMCID: PMC7190036.
[4] Https://www.healthdata.org/research-analysis/gbd.
[5] Fadnes LT, Økland JM, Haaland ØA, Johansson KA,
«Estimating impact of food choices on life expectancy: A
modeling study» [published correction appears in PLoS
Med, 2022 Mar 25; 19(3):e1003962]. PLoS Med.
2022;19(2):e1003889. Published 2022 Feb 8.
doi:10.1371/journal.pmed.1003889.

Una tazza di mirtilli al giorno protegge il cuore

Mangiare mirtilli tutti i giorni riduce il rischio di malattie cardio-vascolari e diabete di tipo 2. A evidenziarlo è una ricerca portata avanti da un gruppo di ricercatori dell’UEA (University of East Anglia) in UK, in collaborazione con un team della Harvard University in USA. Lo studio è stato pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition (giugno 2019). Scopriamo insieme i dettagli di questa indagine scientifica.

QUAL È LA PORZIONE IDEALE DI MIRTILLI

Secondo i risultati dello studio, per la salvaguardia del nostro cuore, la dose giusta di mirtilli è di 150 grammi al giorno. Con questa porzione, infatti, si arriva a una riduzione del rischio cardio-vascolare del 12-15%. I ricercatori hanno indagato gli effetti del consumo di mirtilli nella dieta quotidiana su un campione di 115 individui (di età compresa tra 50 e 75 anni) in sovrappeso oppure obesi, affetti da sindrome metabolica. 

L’indagine è stata portata avanti per 6 mesi e i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo consumava ogni giorno 150 grammi di mirtilli liofilizzati; il secondo ne ha assunto 75 grammi al giorno; mentre al terzo gruppo è stato somministrato un placebo con sapori e coloranti artificiali. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a funzione vascolare, resistenza insulinica e livelli di colesterolo. Dai risultati è emerso che gli effetti benefici su funzionalità vascolare e miglioramento della rigidità delle arterie si sono avuti solo nel gruppo che aveva assunto la dose massima di mirtilli: ovvero 150 grammi al giorno. 

COSA DETERMINA GLI EFFETTI BENEFICI 

In precedenza, altre ricerche scientifiche avevano dimostrato che i mirtilli riducono il rischio di sviluppare malattie come il diabete di tipo 2. La spiegazione degli effetti benefici per il cuore risiede negli antociani. Flavonoidi ad alto potere anti-ossidante, presenti in tutti i frutti di bosco, che ne caratterizzano il colore rosso e blu. Questi composti naturali vengono metabolizzati nel nostro intestino per produrre sostanze utili per la flora batterica e che svolgono un ruolo chiave nel metabolismo.

UN “ANTIDOTO” CONTRO LA SINDROME METABOLICA

La ricerca anglo-americana, nello specifico, ha voluto indagare l’effetto delle antocianine in relazione alla sindrome metabolica. Condizione che riguarda un terzo degli adulti occidentali e che comprende la presenza concomitante di almeno tre dei seguenti fattori: ipertensione, iperglicemia, trigliceridi elevati, colesterolo “cattivo” alto ed eccesso di grasso addominale. Condizioni che determinano un aumento del rischio per le malattie cardio-vascolari e il diabete di tipo 2. In conclusione, secondo gli esperti, i mirtilli e gli altri frutti di bosco andrebbero inseriti nelle strategie alimentari per ridurre il rischio cardio-vascolare e proteggere la salute del cuore, soprattutto negli individui a rischio.

>>> Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

Peter J Curtis et Al. – Blueberries improve biomarkers of cardiometabolic function in participants with metabolic syndrome results from a 6-month, double-blind, randomized controlled trial – The American Journal of Clinical Nutrition, June 2019

Alimentazione e malattie neuro-degenerative

Le malattie neuro-degenerative (come Alzheimer e Parkinson) sono patologie croniche collegate all’invecchiamento. In particolare, il morbo di Alzheimer raggruppa il 60-80% delle demenze e la sua incidenza aumenta più di 100 volte con il progredire dell’età dai 60 ai 95 anni.

LA RICERCA SCIENTIFICA SULL’ALZHEIMER

Uno dei massimi esperti mondiali in tema di Alzheimer è Caleb Finch della USC (University of Southern California), che ha individuato una molecola coinvolta nella comparsa della malattia. La Beta-amiloide, una proteina prodotta fisiologicamente nel nostro corpo, ma che può accumularsi eaggregarsi nel cervello. 

I primi studi per cercare di ritardare l’insorgenza dell’Alzheimer vennero condotti sui topi, intervenendo sul gene IGF-1 (fattore di crescita insulino-simile) che accelera l’invecchiamento. Per potenziare il ringiovanimento del sistema cerebrale, venne ideata una dieta priva dei 9 amminoacidi essenziali (alla base delle proteine alimentari), con un surplus di amminoacidi non-essenziali. Questa dieta venne alternata a un’alimentazione normale, con l’effetto di ridurre del 75% l’IGF-1 e migliorare i test cognitivi, anche dopo i cicli di diete. Altri studi attestarono il miglioramento di memoria e apprendimento dopo cicli di Dieta Mima Digiuno vegana somministrata ai topi per 4 giorni 2 volte al mese e con digiuno a giorni alterni.

Dopodiché si è passati agli studi sull’uomo. Si è visto che i soggetti predisposti geneticamente presentano 15 volte di più il rischio di sviluppare Alzheimer. I ricercatori consigliano di sottoporsi a un test genetico e adottare strategie alimentari a scopo preventivo. Gli studiosi hanno trovato una correlazione con l’IMC (indice di massa corporea), ossia al peso. Fino ai 65-75 anni è bene mantenere peso corporeo e circonferenza addominale contenuti, con IMC idoneo. Dai 75 anni in poi, invece, meglio evitare perdita di massa muscolare e deperimento, con un IMC un po’ più elevato, in grado di proteggere da eventuali danni cerebrali. Le ricerche scientifiche sull’uomo hanno individuato la Dieta Mediterranea protettiva nel declino cognitivo, grazie alla presenza di olio d’oliva. Anche la Dieta Mima Digiuno può essere utile. Analogamente alla sperimentazione con i topi, una dieta povera di proteine e ricca di amminoacidi non-essenziali, alternata a una dieta normale, migliora le prestazioni cognitive, anche dopo 6 mesi.

MANTENERSI ATTIVI FISICAMENTE E MENTALMENTE

Fondamentale, inoltre, mantenere in attività mente e corpo. Rimanere attivi previene le malattie neuro-degenerative e ne ritarda la progressione. Diversi studi scientifici attestano che l’attività fisica, in particolare aerobica, migliora le funzioni cognitive nei pazienti affetti da demenza. Vanno bene corsa e nuoto, oppure cyclette nel caso di soggetti anziani e/o deboli. Altri studi dimostrano l’importanza dell’allenamento mentale. Impegnarsi in attività che stimolano i neuroni, come leggere, fare puzzle, parole crociate o anche giochi elettronici, aiuta a prevenire e ritardare l’insorgere di demenze.

L’ALIMENTAZIONE ADATTA PER L’ALZHEIMER

Per le persone che potenzialmente sono ad alto rischio di sviluppare malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer, gli esperti consigliano di seguire un certo regime alimentare. Per prevenire varie forme di demenza, l’indicazione è di adottare un’alimentazione ricca di nutrienti, individuata in una dieta vegano-pescetariana, arricchita di olio d’oliva (50-100 ml al giorno) e frutta a guscio (30 g al giorno), con aggiunta di olio di cocco (40 ml al giorno). Anche il caffè fa bene (1-4 tazzine al giorno, in base al parere del medico). Da evitare gli alimenti di origine animale (carne rossa, insaccati, pollame, burro, latte e formaggi vaccini) e i grassi saturi e trans. Consentiti pesce (a basso contenuto di mercurio) e latticini di capra e pecora. L’ideale, poi, è assumere ogni giorno un integratore multi-vitaminico (con vitamine del gruppo B e le vitamine C, D ed E) e al bisogno omega 3, per proteggere i neuroni.

In caso di malattia diagnosticata, la strategia alimentare deve essere sempre approvata dal neurologo che ha in cura il paziente con demenza o Alzheimer. Le indicazioni degli esperti sono di proseguire con il piano alimentare esposto qui sopra, da associare a cicli di restrizione proteica e restrizione di amminoacidi essenziali, più Dieta Mima Digiuno periodica. Le sperimentazioni sono ancora in corso, per cui è strettamente necessario il consenso del medico curante e il supporto di un nutrizionista specializzato.

NOTA: I contenuti di questo articolo non devono essere utilizzati per effettuare auto-diagnosi o come terapie per malattie, ma possono essere presentati a un medico specialista in vista del trattamento di una patologia.

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FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
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