L’alcol fa bene o male alla longevità? Riunite ed analizzate le ricerche, ci dicono che la risposta non è un semplice sì o no

Alcuni anni fa, nel corso di una conferenza, un membro del pubblico chiese la parola e mi disse: «Professor Longo, conoscevo una signora che tutte le mattine, verso le undici, beveva un bicchiere di grappa. Andò in casa di riposo e, al compimento del centotreesimo anno, le dissero che per ragioni di salute non avrebbe più potuto bere la sua grappa. Poco dopo la donna morì». Tutti scoppiarono a ridere, aspettandosi che io difendessi la decisione della casa di riposo di toglierle la grappa; rimasero sorpresi quando dissi che non avrebbero dovuto farlo e che, di fatto, un modesto consumo di alcol (meno di un bicchiere al giorno) ha o nessun impatto o un’associa-zione leggermente positiva con la longevità. Il giornalista che stava moderando l’incontro intervenne dicendo che l’alcol dovrebbe essere comunque evitato perché è un fattore di rischio di ammalarsi di tumore, ma se questo è vero per certi tipi di cancro, l’effetto di un modesto consumo di alcol (per esempio meno di 5 bicchieri di vino alla settimana) sul rischio di contrarre la maggior parte dei tumori è o molto basso o nullo. Cosa ancora più importante, quello che dobbiamo prendere in considerazione è come l’alcol influenza la «Iuventologia» e lo healthspan, non solo l’insorgenza del cancro. Supponiamo invece, per esempio, che un cibo o una bevanda riduca il rischio di ammalarsi di cancro, avendo nel contempo potenti effetti protettivi contro il diabete e le malattie cardiovascolari o l’Alzheimer o, semplicemente, che renda una persona più felice e le infonda il desiderio di lottare per vivere in salute e più a lungo: secondo me quel cibo o quella bevanda può essere raccomandata alla maggior parte delle persone, mentre potrebbe non esserlo per chi abbia in famiglia un alto rischio di ammalarsi di uno dei tumori influenzati dall’alcol come, per esempio, quelli alla testa e al collo.1

Consumo di alcol e tumori

La presenza di etanolo (l’alcol incolore e volatile che si trova nelle bevande alcoliche) può essere sia benefica sia deleteria per la salute, nel secondo caso specialmente se in grandi quantità. L’alcol infatti può ridurre l’assorbimento di alcune vitamine, alzare il livello degli estrogeni e quindi, indirettamente, aumentare il rischio di tumore alla mammella,2 anche se l’aumento del rischio provocato da un consumo moderato od occasionale di alcol è basso.3 Altri effetti negativi dell’alcol sono legati al potenziale rischio di provocare il tumore quando si combina ad alcune sostanze prodotte durante la fermentazione (nitrosammine, fibre di amianto, fenoli e idrocarburi) o all’uso di tabacco.4

Anche se un consumo moderato di alcol può avere effetti benefici per la salute e la longevità, chi non beve o non gradisce l’alcol non dovrebbe iniziare a farlo. C’è infatti un legame tra alcol e tumore.

  • Il National Toxicology Program dello US Department of Health and Human Services lo elenca tra i cancerogeni per l’uomo.
  • Secondo lo statunitense National Cancer Institute, il consumo da basso a moderato di alcol può aumentare il rischio di tumore del primo tratto gastrointestinale, quindi alla bocca, alla gola, all’esofago, alla laringe, oltre che al fegato e alla mammella.5,6
  • Il consumo di alcol sembra essere dannoso anche in caso di secondi tumori primari, cioè nuovi tumori che si formano in pazienti che avevano già sofferto di tumore, almeno nel caso del primo tratto gastrico.7

Il rapporto tra consumo di alcol, incidenza di tumori e mortalità a seguito di patologie è comunque molto complesso. L’impatto dannoso del consumo massiccio di alcol è risaputo, mentre un consumo moderato di alcol potrebbe essere positivo per la salute. È accertato che:

  • i dati sull’associazione tra consumo di alcol e tumori all’ovaio, all’endometrio e alla vescica sono inconsistenti, per cui non per- mettono di trarne conclusioni. Al contrario, alcune metanalisi confermano un rischio di tumore allo stomaco maggiore del 20% nei forti bevitori (che bevono per esempio più di mezzo litro di vino rosso al giorno), rispetto a chi non beve mai o quasi. Tale rischio è nullo nei bevitori moderati, ossia chi beve tra 1 e 4 bicchieri al 8,9 L’associazione con il cancro alla prostata è meno forte, con un rischio che cresce con l’aumentare del consumo di alcol. Per esempio, una metanalisi che ha analizzato 572 diversi studi, per un totale di oltre 480.000 casi di cancro, ha evidenziato che il rischio di tumore alla prostata per chi beve alcol moderatamente rispetto a chi non beve mai o solo in rare occasioni è maggiore del 6%, mentre aumenta al 9% nei forti bevitori;10
  • Però, a un maggior consumo di alcol è associato un minor rischio di tumore alla tiroide, di linfoma non-Hodgkin (un gruppo di tumori del sangue che colpisce i globuli bianchi), e di carcinoma a cellule renali (tumore del rene);11,12
  • una recente ricerca ha evidenziato come l’assunzione settimanale di una quantità fino al massimo di 4 dosi di alcol è associata con il più basso rischio complessivo di tumore o di morte.13

Sulla base di tutto questo e di The Dietary Guidelines for Americans 2015-2020, che suggeriscono un moderato consumo di alcol, pari a 17 millilitri per le donne e 28 ml per gli uomini al giorno, consiglio di bere un massimo di 3-5 dosi di alcol a settimana, equivalenti per esempio a un bicchiere di vino o una lattina di birra al giorno, da mercoledì a domenica. Questo non riguarda le persone affette da difetti genetici nell’enzima alcol deidrogenasi (ADH) che digerisce l’alcol, le quali devono evitare di consumarlo per non aumentare il rischio di tumore, in particolare al

pancreas e all’esofago.14, 15

Fonti

Valter Longo. Il cancro a digiuno. Milano: Vallardi, 2021.

Note

1 National Cancer Institute, “Alcohol and Cancer Risk”. Ultima revisione 13 settembre 2018. https://www.cancer.gov/about-cancer/causes- prevention/risk/alcohol/alcohol-fact-sheet.

2 Kiadaliri AA, Jarl J, Gavriilidis G, Gerdtham UG. “Alcohol Drinking Cessation and the Risk of Laryngeal and Pharyngeal Cancers: A Systematic Review and Meta-Analysis.” PLoS One. 2013;8(3):e58158. doi: 10.1371/journal.pone.0058158. PMID: 23469267; PMCID: PMC3585880.

3 Griffith, Christopher and Douglas Bogart. “Alcohol Consumption: can weSafely toast to our health?”.Missouri Medicine, vol. 109,6 (2012): 459-65.

4 Hashibe M, Brennan P, Chuang SC, Boccia S, Castellsague X, Chen C, Curado MP, Dal Maso L, Daudt AW, Fabianova E, Fernandez L, Wünsch-Filho V, Franceschi S, Hayes RB, Herrero R, Kelsey K, Koifman S, La Vecchia C, Lazarus P, Levi F, Lence JJ, Mates D, Matos E, Menezes A, McClean MD, Muscat J, Eluf-Neto J, Olshan AF, Purdue M, Rudnai P, Schwartz SM, Smith E, Sturgis EM, Szeszenia-Dabrowska N, Talamini R, Wei Q, Winn DM, Shangina O, Pilarska A, Zhang ZF, Ferro G, Berthiller J, Boffetta P. “Interaction between Tobacco and Alcohol Use and the Risk of Head and Neck Cancer: Pooled Analysis in The International Head and Neck Cancer Epidemiology Consortium.” Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention. 2009. DOI: 10.1158/1055-9965.EPI-08-0347. PMID: 19190158; PMCID: PMC3051410.

Turati F, Garavello W, Tramacere I, Pelucchi C, Galeone C, Bagnardi V, Corrao G, Islami F, Fedirko V, Boffetta P, La Vecchia C, Negri E. “A Meta-Analysis of Alcohol Drinking and Oral and Pharyngeal Cancers: Results from Subgroup Analyses.” Alcohol and Alcoholism. Jan-Feb 2013;48(1):107-18. DOI: 10.1093/alcalc/ags100. PMID 22949102.

5 Allen NE, Beral V, Casabonne D, Kan SW, Reeves GK, Brown A, Green J. “Moderate Alcohol Intake and Cancer Incidence in Women.” Journal of the National Cancer Institute. 2009. DOI: 10.1093/jnci/djn514. PMID: 19244173.

6 Bagnardi V, Rota M, Botteri E, Tramacere I, Islami F, Fedirko V, Scotti L, Jenab M, Turati F, Pasquali E, Pelucchi C, Galeone C, Bellocco R, Negri E, Corrao G, Boffetta P, La Vecchia C. “Alcohol Consumption and Site-Specific Cancer Risk: A Comprehensive Dose-Response Meta-Analysis.” British Journal of Cancer. 2015. DOI: 10.1038/bjc.2014.579. PMID: 25422909; PMCID: PMC4453639.

LoConte NK, Brewster AM, Kaur JS, Merrill JK, Alberg AJ. “Alcohol and Cancer: A Statement of the American Society of Clinical Oncology.” Journal of Clinical Oncology. 2018. DOI: 10.1200/JCO.2017.76.1155. PMID: 29112463.

7 Druesne-Pecollo N, Keita Y, Touvier M, Chan DS, Norat T, Hercberg S, Latino-Martel P. “Alcohol Drinking and Second Primary Cancer Risk in Patients with Upper Aerodigestive Tract Cancers: a Systematic Review and Meta-Analysis of Observational Studies.” Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention. 2014. DOI: 10.1158/1055-9965.EPI-13-0779. PMID: 24307268.

8 Na HK, Lee JY. “Molecular Basis of Alcohol-Related Gastric and Colon Cancer.” International Journal of Molecular Scieces. 2017. DOI: 10.3390/ijms18061116. PMID: 28538665; PMCID: PMC5485940.

9 Zhao J, Stockwell T, Roemer A, Chikritzhs T. “Is Alcohol Consumption a Risk Factor for Prostate Cancer? A Systematic Review and Meta-Analysis.” BMC Cancer. 2016. DOI: 10.1186/s12885-016-2891-z. PMID: 27842506; PMCID: PMC5109713.

10 Ibid. Bagnardi V, Rota M, Botteri E, Tramacere I, Islami F, Fedirko V, Scotti L, Jenab M, Turati F, Pasquali E, Pelucchi C, Galeone C, Belloc-co R, Negri E, Corrao G, Boffetta P, La Vecchia C. “Alcohol Consump-tion and Site-Specific Cancer Risk: A Comprehensive Dose-ResponseMeta-Analysis.” British Journal of Cancer. 2015 Feb 3;112(3):580-93.DOI: 10.1038/bjc.2014.579. Epub 2014 Nov 25. PMID: 25422909;PMCID: PMC4453639.

11 I. Tramacere, C. Pelucchi, M. Bonifazi, V. Bagnardi, M. Rota, R. Belloc-co, L. Scotti, F. Islami, G. Corrao, P. Boffetta, C. La Vecchia, E. Negri,“Alcohol Drinking and non-Hodgkin Lymphoma Risk: A SystematicReview and a Meta-Analysis”, Annals of Oncology, 2012. DOI: 10.1093/annonc/mds013. PMID: 22357444.

12 S.B. Seidelmann, B. Claggett, S. Cheng, M. Henglin, A. Shah, L.M. Steffen,A.R. Folsom, E.B. Rimm, W.C. Willett, S.D. Solomon, “Dietary Carbohy-drate Intake and Mortality: A Prospective Cohort Study and Meta-Analy-sis”,Lancet Public Health,2018. DOI: 10.1016/S2468-2667(18)30135-X.Epub 2018 Aug 17. PMID: 30122560; PMCID: PMC6339822.

13 Griffith, Christopher, and Douglas Bogart. “Alcohol Consumption:Can We Safely Toast to Our Health?”Missouri Medicinevol. 109,6(2012): 459-65.

14 Kanda J, Matsuo K, Suzuki T, Kawase T, Hiraki A, Watanabe M, Mizuno N, Sawaki A, Yamao K, Tajima K, Tanaka H. “Impact of Alcohol Consumption with Polymorphisms in Alcohol-Metabolizing Enzymes on Pancreatic Cancer Risk in Japanese.” Cancer Science. DOI: 10.1111/j.1349-7006.2008.01044.x. PMID: 19068087.

15 Wu C, Wang Z, Song X, et al. “Joint Analysis of Three Genome-Wide Association Studies of Esophageal Squamous Cell Carcinoma in Chinese Populations.” Nature Genetics. 2014. DOI: 10.1038/ng.3064. PMID: 25129146; PMCID: PMC4212832

MENO ANSIA E DEPRESSIONE GRAZIE ALL’ ATTIVITÀ FISICA

Diversi studi scientifici dimostrano i benefici dell’attività fisica. In particolare, si è visto che praticare sport può anche essere una cura per disturbi legati alla sfera dell’umore, come ansia e depressione. Tanto che, oltre a poter essere considerata una risorsa primaria per la salute psico-fisica di pazienti che seguono già una cura di tipo farmacologico, l’esercizio fisico può anche essere una terapia vera e propria, oltre che avere anche un effetto protettivo di protezione nell’insorgenza di malattie mentali. Il tutto viene migliorato se si segue uno stile alimentare sano e bilanciato.

DIETA SANA ED ESERCIZIO FISICO OGNI SETTIMANA

Uno studio portato avanti da un gruppo di ricercatori del Medical Centre della University of Vermont (a Burlington, negli Stati Uniti) ha visto coinvolti 100 pazienti del reparto psichiatrico, dove è stata fatta costruire una palestra. I partecipanti erano ricoverati per diverse patologie psichiche: ansia, depressione, bipolarismo e schizofrenia. Nei loro programmi terapeutici, oltre che un regime nutrizionale equilibrato, sono stati inclusi allenamenti della durata di 1 ora, con una frequenza di 4 volte a settimana. Le sessioni hanno previsto attività cardio-vascolari, esercizi con i pesi e stretching, sia a corpo libero sia con attrezzi.

I pazienti hanno compilato dei questionari auto-valutativi riguardo tono dell’umore e autostima, prima e dopo il periodo di studio. Al termine della sperimentazione, i partecipanti hanno rilevato livelli più bassi, di ansia, depressione e rabbia, nonché una maggiore autostima, rispetto all’inizio dell’indagine. In particolare, il 95% dei pazienti ha risposto che il loro umore era migliorato, il 65% ha riferito di sentirsi felice o molto felice. Nonché, il 91% dei partecipanti ha affermato di essere contento di come si sentiva fisicamente e il 97% ha dichiarato di voler continuare a praticare attività fisica. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Global Advances in Health and Medicine (maggio 2019).

 PRATICARE SPORT TIENE ALTRO IL TONO DELL’UMORE

Ricerche precedenti avevano già dimostrato la connessione tra attività fisica e tono dell’umore, dimostrando come chi pratica sport o va in palestra non soffre di depressione. A evidenziarlo è uno studio condotto presso l’Universidade La Salle in Brasile, da un team di ricercatori internazionali (americani, australiani, belgi, britannici e svedesi). Secondo questa indagine, l’attività fisica tiene lontano la depressione in ogni fascia d’età (giovani, adulti e anziani) e area geografica considerata.

I ricercatori hanno preso in esame i risultati di 49 studi che hanno incluso i dati di quasi 267mila individui (53% donne e 47% uomini) sani dal punto di vista mentale, seguiti per circa 7 anni e mezzo. Dalla ricerca è emerso che le persone più attive hanno avuto minori probabilità di sviluppare stati depressisi, rispetto agli individui con bassi livelli di attività fisica. Dimostrando come praticare sport abbia un effetto protettivo nei confronti della depressione, oltre che contrastarne l’insorgenza. I risultati di questa indagine sono stati pubblicati sulla rivista American Journal of Psichiatry (2018).

Uno studio antecedente della UC Davis – University of California (USA), aveva già dimostrato come l’attività fisica può influenzare positivamente stato mentale e umore. Praticare sport aumenta la produzione di due neurotrasmettitori (GABA e glutammato) i cui livelli, invece, risultano bassi in caso di depressione. Inoltre, sembra che fare sport aumenti l’attività neuro-fisiologica, rilevata attraverso elettroencefalogramma (EEG) e risonanza magnetica funzionale (RMF), riducendo così stati d’ansia e depressione, legati a impoverimento di GABA. I risultati di questo studio sono stati pubblicati su Journal of Neuroscience (2016).

Tuti questi dati sono a sostegno del fatto che l’attività fisica può essere una terapia efficace nella cura dei disturbi dell’umore, alleviandone i vari sintomi, tanto da ridurre significativamente il ricorso ai farmaci.

FONTI

  1. David Tomasi et Al. – Positive Patient Response to a Structured Exercise Program Delivered in Inpatient Psychiatry – (May 2019)
  2. Schuch et al., Physical Activity and Incident Depression: A Meta-Analysis of Prospective Cohort Studies, American Journal of Psychiatry (July 2018)
  3. Maddock RJ, Casazza GA, Fernandez DH, and Maddock MI. Acute Modulation of Cortical Glutamate and GABA Content by Physical Activity. Journal of Neuroscience (February 2016)

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
Fondazione Valter Longo Onlus ha l’obiettivo di fare divulgazione scientifica sensibilizzando la comunità scientifica e non, ad uno stile di vita salutare ed una corretta alimentazione tramite la produzione di articoli scientifici esplicativi, contenuti testuali, infografiche e multimediali, e la diffusione delle attività cliniche, scientifiche, divulgative ed educative della Fondazione e del suo team di professionisti. Percorsi alimentari, scoperte scientifiche, studi clinici, trattamenti e tecnologie, eventi di sensibilizzazione nazionale e internazionale, iniziative di prevenzione nonché ricette della Longevità sono solo alcuni dei temi affrontati in articoli e interviste di approfondimento pubblicati quotidianamente e scritti in collaborazione con gli specialisti della Fondazione. Attivissima anche sui social, la redazione di Fondazione Valter Longo Onlus propone inoltre una newsletter mensile inviata a tutti gli iscritti, per rimanere sempre aggiornati sulle più interessanti novità legate al mondo della Salute, Nutrizione e Longevità.

GIORNATA INTERNAZIONALE DEI MIGRANTI

UN LIBRO COLLETTIVO PER FAVORIRE L’INCLUSIONE ATTRAVERSO IL CIBO – INVIATE IL VOSTRO CONTRIBUTO

In questa occasione speciale, vorremmo ricordare a tutti noi come il cibo possa essere uno strumento importante per favorire l’inclusione, l’apertura e l’incontro con altre culture.

Per questo le mie Fondazioni hanno dato vita a un progetto condiviso:

“Il libro collettivo di ricette, storie e tradizione della longevità”

L’obiettivo è quello di creare un libro collettivo con ricette, storie, tradizioni della longevità provenienti da tutto il mondo per promuovere comunità più inclusive ed espandere la nostra conoscenza di altre culture.

Il vostro contributo e il vostro nome appariranno nel libro che verrà pubblicato il prossimo anno.

I proventi verranno utilizzati per progetti non profit per scuole, famiglie, pazienti in condizione economiche e di salute critica, persone con disabilità, donne che intraprendono un percorso di uscita dalla violenza.

Siamo lieti di poter collaborare tutti insieme per creare comunità e realtà inclusive, sane e sostenibili.

LINEE GUIDA – COME IL VOSTRO CONTRIBUTO

Per maggiori informazioni cliccate qui per leggere le linee guida

INVIATE IL VOSTRO CONTRIBUTO

Fai clic o trascina il file su quest'area per caricarlo.
Per maggiori informazioni contattate [email protected] indicando nell’oggetto “Libro collettivo”.

 

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE BAMBINE E DELLE RAGAZZE

Linee guida nutrizionale e di stile di vita per le donne per rafforzareil sistema immunitario

Informazioni utili per fasce d’età riguardanti:

  • Fabbisogni nutrizionali
  • Attività fisica
  • Sonno
  • Ricette della longevità

BAMBINE (1-10 anni)

Fabbisogni nutrizionali

Il periodo dell’infanzia è caratterizzato da un aumento della crescita e, di conseguenza, i fabbisogni aumentano: l’introito calorico varia dalle 770 kcal alle 2230 kcal in base all’età e all’attività fisica.

Per sostenere adeguatamente il sistema immunitario in questo periodo della vita risulta importante assumere il giusto apporto proteico, che non deve essere in eccesso. La quota di proteine giornaliere varia in base alla fascia d’età: da 0,82 g a 0,72 per Kg di peso corporeo al giorno.

Anche gli acidi grassi (EPA e DHA) sono essenziali per il sistema immunitario e il corretto sviluppo neuronale12 e si trovano in alimenti come pesce, frutta secca e semi oleosi.

Durante la giornata, le calorie giornaliere dovrebbero essere così suddivise: 15% colazione, 5% spuntino, 40%pranzo, 10% merenda e 30% cena. In particolare, è veramente essenziale abituare i bambini ad effettuare la prima colazione, in quanto nel lungo periodo riduce il rischio di obesità e di malattie cardiovascolari e migliora la lucidità mentale. Si raccomanda un digiuno notturno di 10-12 ore.

La colazione deve essere composta da una fonte proteica (ad esempio il latte), una di carboidrati (ad esempio biscotti) e una di grassi (ad esempio noci). Per variare, è possibile sostituire il latte vaccino con il latte di capra, lo yogurt (magro, di capra o vegetale) e il latte vegetale (assicurandosi che sia senza zuccheri e arricchito di vitamina D e calcio).

I biscotti o il pane comune possono essere sostituiti con le loro versioni integrali, oppure con un mix di cereali integrali. Per quanto riguarda i grassi, è importante che siano “buoni”, dunque, si consiglia l’utilizzo di frutta secca (anche attraverso creme spalmabili ad alto contenuto di frutta secca) o olio extravergine di oliva, limitando i grassi saturi e gli zuccheri.

Attività fisica

L’attività fisica in età infantile è fondamentale per il corretto sviluppo dei bambini al fine di prevenire la sindrome metabolica da adulto. Questa non si riferisce a una singola malattia, ma a un insieme di fattori che mettono gli individui a rischio di contrarre malattie cardiovascolari, diabete, ecc. e che sono collegati ad eccessivo grasso, in particolare addominale, ipertensione arteriosa, alti livelli di trigliceridi e glicemia a digiuno.

L’attività fisica è molto importante nella prevenzione di questo tipo di condizione e permette di garantire un corretto sviluppo della massa muscolare, massimizzare la crescita ossea e compensarne la successiva perdita associata all’invecchiamento. Oltre ad avere un importante ruolo nella crescita fisica, ha anche molta importanza per lo sviluppo cognitivo dei bambini.

Una corretta e costante attività fisica contribuisce anche al potenziamento del sistema immunitario, come descritto in letteratura e nel libro La longevità inizia da bambini del Professor Valter Longo.

Secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini dovrebbero praticare almeno 60 minuti di attività fisica quotidiana mediamente intensa, accompagnata da esercizi di rafforzamento dell’apparato muscolo-scheletrico almeno 3 volte a settimana.

Svolgere attività superiore ai 60 minuti, anche attraverso attività ludiche, migliora ulteriormente lo stato di salute psicofisico dei bambini.

Sonno

La dieta non corretta è la causa numero uno dei problemi di sonno tra le bambine e i bambini, soprattutto se si consumano bevande zuccherate e snack vicino o subito prima di andare a dormire. Il sonno giornaliero consigliato è di 11-14 ore.

LE 5 ISOLE FELICI DOVE VIVERE MEGLIO E PIÙ A LUNGO

di Corinna Montana Lampo

Gli studiosi hanno individuato 5 luoghi nel mondo dove si vive meglio e più a lungo. Cinque aree in cui l’età media è più alta rispetto a tutto il resto del pianeta. Oltre ad avere in comune diversi segreti legati alla longevità, si tratta di cinque località dove si è anche più felici. Luoghi dove si conduce uno stile di vita sano che, insieme a un regime alimentare bilanciato, garantisce l’estensione della prospettiva di vita. In queste zone, infatti, si annovera il più alto numero di centenari viventi al mondo, si vive più a lungo e anche più in salute. In generale, qui la popolazione si ammala di meno, soprattutto di tumore e patologie legate a disturbi cardio-vascolari, che invece sono tra le principali cause di decesso in tutto il resto del mondo.

COSA SONO LE BLUE ZONES

Il concetto di Blue Zones era stato lanciato dai ricercatori Gianni Pes e Michel Poulain a seguito di un loro studio demografico sulla longevità umana pubblicato su Experimental Gerontology. I due studiosi avevano identificato nella provincia di Nuoro, in Sardegna, la zona con la maggiore concentrazione di centenari al mondo. Nel procedere con lo studio, i ricercatori tracciavano sulla cartina geografica una serie di cerchi blu concentrici, per indicare le zone caratterizzate da longevità più elevata. Da questo metodo è nato il termine “zona blu”. Alla Sardegna, si sono aggiunte altre quattro Blue Zones.

QUALI SONO LE 5 ZONE BLU NEL MONDO

Il giornalista americano Dan Buettner, collaborando con il National Geographic, insieme a ricercatori di fama mondiale specializzati in longevità, ha individuato le zone del mondo dove le persone vivono meglio e più a lungo fino a raggiungere e, in alcuni casi, superare i 100 anni. Ecco quali sono le 5 Blue Zones:

  • Okinawa in Giappone (isola più longeva al mondo, per l’alta percentuale centenari e donne over 90)
  • Loma Linda in California (comunità di Avventisti che vivono 10 anni in più rispetto ai californiani)
  • Nicoya in Costa Rica (penisola seconda al mondo per la più alta presenza di centenari maschi)
  • Ikaria in Grecia (isola in cui la maggior parte degli abitanti dell’isola supera i 90 anni d’età)
  • Sardegna in Italia (provincia di Nuoro con la più alta concentrazione al mondo di centenari maschi)

CHE COSA HANNO IN COMUNE GLI ABITANTI DELLE ZONE BLU

Gli abitanti delle Zone Blu hanno in comune alcune caratteristiche nel modo vivere, come pure un regime alimentare analogo, che si suppone favoriscano una vita più sana e la longevità:

  • Dieta principalmente vegetariana a base di verdure, cereali integrali, legumi e frutta a guscio
  • Attività fisica regolare quotidiana, vissuta come un piacere ad esempio passeggiare in natura
  • Struttura sociale che mette al centro la famiglia e i rapporti sociali, con momenti di convivialità
  • Fede religiosa e spiritualità ancora presente e molto vissuta a livello di tutta la comunità

Gli studiosi pensano che tali peculiarità possano apportare il benessere ed essere esportati altrove.

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FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
  2. Dan Buettner; The blue zones: lessons for living longer from the people who’ve lived the longest; National Geographic 2012
  3. Inspired by the world’s longest-lived cultures, we help you: live longer, better (data ultimo accesso 03.05.2019)
  4. Buettner D, Skemp S; Blue Zones: Lessons From the World’s Longest Lived; American Journal of Lifestyle Medicine 2016
  5. Badri N Mishra; Secret of eternal youth; teaching from the centenarian hot spots (“Blue Zones”); Indian Journal od Community Medicine 2009

GIORNATA MONDIALE DEL CUORE

Gli esperti hanno individuato piani nutrizionali semplici e allo stesso tempo efficaci per contrastare le malattie cardiovascolari, attuabili dalla maggior parte delle persone, senza dover affrontare cambiamenti troppo drastici delle proprie abitudini.

Studi clinici a supporto
Nel corso degli ultimi decenni sono state condotte numerose ricerche scientifiche per individuare le strategie alimentari più adatte in caso di malattie cardiovascolari. Inizialmente, le indagini sono state condotte sulle scimmie Rhesus, che hanno il 93% del DNA in comune con quello umano e si ammalano delle nostre stesse malattie (diabete, tumori e patologie cardio-vascolari). Due studi hanno analizzato l’impatto di una restrizione calorica del 30% su malattie e longevità.

I due studi sono stati portati avanti presso due enti: US National Institute of Aging (NIA) e University of Wisconsin. Nella ricerca condotta presso il NIA non sono state evidenziate differenze sostanziali nelle cause di morte (per malattie cardiovascolari, amiloidosi e tumori) e peggioramento generale della salute tra il gruppo di scimmie sottoposto a restrizione calorica e il gruppo di controllo che ha seguito una dieta “salutare” (con proteine vegetali e pesce, più 5% di grassi, 5% di fibre e 3,9% di saccarosio, vitamine e minerali – mangiando solo due volte al giorno, con una quantità di cibo prestabilita in base a età e peso corporeo). Nell’indagine portata avanti presso il Wisconsin, invece, le scimmie sottoposte a restrizione calorica hanno visto dimezzare la mortalità rispetto al gruppo di controllo che ha continuato ad alimentarsi “normalmente” (con proteine derivanti dal latte, 10% di grassi, 5% di fibre e 28,5% di saccarosio – mangiando quanto volevano, per esemplificare la dieta tipica occidentale).

In seguito, vennero condotti numerosi studi clinici sull’uomo. Le prime indagini hanno analizzato la dieta mediterranea in associazione con la ridotta incidenza di varie malattie, tra cui quelle cardiovascolari. Alcuni studi hanno rilevato che consumo di olio d’oliva e frutta a guscio, si associa a una minore incidenza di eventi cardiovascolari (infarto, ictus etc.). Altre ricerche hanno studiato l’assunzione di grassi buoni derivanti da verdura e pesce. Studi successivi, poi, hanno indagato la restrizione calorica in relazione alla riduzione degli stati infiammatori e dei marcatori associati alle malattie cardiovascolari.

Gli effetti positivi della dieta mima digiuno
Test clinici condotti su centinaia di pazienti hanno rivelato che cicli di dieta mima-digiuno determinano effetti positivi su principali fattori di rischio e marcatori collegati alle patologie cardiovascolari, soprattutto nei soggetti più predisposti. Si riduce il grasso corporeo, in particolare quello addominale, senza perdita di massa muscolare; la pressione sanguigna si abbassa a livelli adeguati (- 6 mmHg); cala anche la glicemia a digiuno; i trigliceridi si riducono (- 25 mg/dl); il colesterolo “cattivo” LDL scende a valori normali (- 20 mg/dl); si riducono i livelli di proteina C reattiva (associata a infiammazione e malattie cardiovascolari), come pure quelli del fattore di crescita insulino-simile IGF-1.

La nutrizione adatta in caso di patologie cardiovascolari 
Le seguenti indicazioni sono esito di molte indagini cliniche in cui ricercatori hanno condotto test su centinaia di pazienti, per individuare una strategia alimentare su misura nel prevenire e curare le malattie cardio-vascolari. Il suggerimento degli esperti per la prevenzione è di seguire una dieta pescetariana, abbinata alla pratica di attività fisica quotidiana. In più, dietro approvazione del proprio medico è possibile intraprendere una Dieta Mima Digiuno, con cadenza determinata dallo stato di salute.

In caso di problematiche cardiovascolari conclamate, gli esperti consigliano di attuare la seguente strategia nutrizionale: eliminare l’assunzione di carne (rossa e pollame) e sostituirla con il pesce (2-3 volte alla settimana); evitare i latticini; limitate l’assunzione di proteine in base al proprio peso (0,7-0,8 g per chilo al giorno); mangiare molta verdura e legumi; ridurre pasta e pane bianchi, preferendo cereali integrali (meno di 100 gr al giorno); circa un frutto al giorno; ridurre l’introito di zucchero a meno di 10 g al giorno; condire con olio d’oliva a crudo (circa 80 g al giorno); consumare frutta a guscio (circa 30 g al giorno); assumere cibo entro un arco temporale di 11-12 ore; se l’IMC (indice di massa corporea) è pari o superiore a 25, che rientra quindi nella condizione di sovrappeso, mangiare 2 volte al giorno, più uno spuntino; fate esercizio fisico tutti i giorni.

Una raccomandazione è quella di rivolgersi sempre al medico curante, nel prendere in considerazione qualsiasi strategia alimentare. Le terapie convenzionali (farmaci e interventi chirurgici) possono essere integrate da un piano nutrizionale studiato ad hoc.
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FONTI
1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
2. Colman RJ et al.; Caloric restriction delays disease onset and mortality in rhesus monkeys; Science 2009 Jul.
3. Colman RJ; Caloric restriction reduces age-related and all-cause mortality in rhesus monkeys; Nature Communications; 2014 Apr.
4. Mattison JA; Impact of caloric restriction on health and survival in rhesus monkeys from the NIA study; Nature 2012 Sep.
5. Sofi F et al.; Accruing evidence on benefits of adherence to the Mediterranean diet on health: an updated systematic rewiev an meta-analysis; The American Journal of Clinical Nutrition 2010 Nov.
6. Sofi F et al.; Mediterranean diet and health status: an updated meta-analysis and proposal for literature-based adherence score; Public Health Nutrition 2014 Dec.
7. Estruch R et al.; Mediterranean diet for primary prevention of cardiovascular disease; The New England Journal of Medicine 2013 Apr.
8. Bendinelli B; Fruit, vegetables, and olive oli and risk of coronary heart disease in Italian women: the EPOCOR Study; The American Journal Clinical of Nutrition 2011 Feb.
9. Bao Y et al.; Association of nut consumption with total cause-specific mortality; The New England Journal of Medicine 2013 Nov.
10. Fontana L et al.; Long-term calorie restriction is highly effective in reducing the risk for atheriosclerosis in humans; PNAS 2004 Apr.
11. Brandhorst S et al.; A Periodic Diet that Mimics Fasting Promotes Multi-System Regeneration, Enhanced Cognitive Performance, and Healthspan; Cell Metabolism 2015 Jul.

I FLAVONOIDI DEL CACAO AIUTANO CONTRO LA STANCHEZZA DELLA SCLEROSI MULTIPLA

Le proprietà del cacao sono state largamente studiate in diversi ambiti, scoprendo che i benefici per la nostra salute derivano dai flavonoidi, composti antiossidanti dalle proprietà anti-infiammatorie. Un nuovo studio, condotto da un gruppo di ricercatori della Oxford Brookers University (UK) ha dimostrato che i flavonoidi del cacao sono di sostegno nell’alleviare la stanchezza associata alla sclerosi multipla. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati su Journal of Neurology Neurosurgery & Psichiatry (marzo 2019).

UNA TAZZA DI CACAO AL GIORNO È LA GIUSTA DOSE

È il cioccolato fondente, che contiene dal 70 all’85% di cacao amaro ricco di flavonoidi, ad apportare i maggiori benefici, riducendo la stanchezza percepita nelle persone che soffrono di “sindrome da stanchezza cronica”. A partire da questo presupposto, già dimostrato in precedenti ricerche scientifiche, gli studiosi britannici hanno impostato la loro indagine, volta a comprendere se il cacao possa in qualche modo contribuire a ridurre anche la stanchezza fisica tipicamente associata alla sclerosi multipla.

Per farlo, sono stati coinvolti 40 soggetti adulti (di cui 10 uomini e 30 donne, di età media 44 anni), con recente diagnosi di sclerosi multipla, in forma recidivante-remittente. Un gruppo, composto da 19 partecipanti, ha bevuto ogni giorno per 6 settimane, una tazza di cacao in polvere ad alto contenuto di flavonoidi, sciolto in latte di riso. L’altro gruppo, costituito dagli altri 21 pazienti come gruppo di controllo, ha consumato ogni giorno una bevanda simile, ma a basso contenuto di flavonoidi. Nel corso della sperimentazione, tutti partecipanti hanno mantenuto la loro dieta abituale, ma non dovevano assumere altri alimenti e bevande, come neppure farmaci, nella mezz’ora successiva al consumo della bevanda di cacao (per evitare interazioni con eventuali altre sostanze assunte, che inficiassero l’assorbimento dei flavonoidi).

CACAO A SOSTEGNO DELLA TERAPIA CLASSICA

I ricercatori hanno misurato fatica percepita e tendenza all’affaticamento nei partecipanti, in tre momenti diversi dello studio: all’inizio, dopo tre settimane e alla fine. Dove per “fatica percepita” si intende la fatica definita in modo soggettivo e valutata in base all’esperienza personale. Mentre la “tendenza all’affaticamento” è definita in base alla riduzione della capacità di svolgere un determinato compito, in relazione al diminuire della resistenza. A ognuno dei pazienti, da un lato, è stato chiesto di misurare (in una scala da 1 a 10) il livello di fatica percepita, per tre volte al giorno in orari stabiliti (10.00, 15.00 e 20.00), rilevando l’attività fisica con un contapassi. La tendenza all’affaticamento, dall’altro, è stata misurata tramite un “test del cammino in 6 minuti” in cui ogni partecipante ha camminato alla massima velocità possibile per sei minuti, lungo una superficie piana. Durante l’esercizio, oltre al numero di metri percorsi, sono state rilevate frequenza cardiaca e saturazione dell’emoglobina.

Al termine delle 6 settimane di studio, i ricercatori hanno rilevato un miglioramento nella valutazione della fatica percepita per il 45% dei pazienti che avevano assunto la bevanda di cacao ricca di flavonoidi. Un altro dato significativo, è che l’80% di essi ha avuto una minore tendenza all’affaticamento ed ha percorso una distanza maggiore. Inoltre, i pazienti che hanno bevuto cacao ad alto contenuto di flavonoidi hanno anche riferito una riduzione soggettiva dei sintomi legati al dolore. Ecco che, con questi risultati, i ricercatori affermano che il ricorso al consumo di cacao ricco di flavonoidi può essere un valido sostegno della gestione della fatica, riducendo la percezione di stanchezza e migliorando la tendenza all’affaticamento nei malati di sclerosi multipla. In associazione con la terapia indicata dagli specialisti per questa patologia. 

FONTI

Shelly Coe et al. – A randomised double-blind placebo-controlled feasibility trial of flavonoid-rich cocoa for fatigue in people with relapsing and remitting multiple sclerosis – Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry (March 2019)

DONNE IN ETÀ ADULTA

Fabbisogni nutrizionali

L’alimentazione giornaliera deve fornire al sistema immunitario tutti i nutrienti di cui ha bisogno per mantenersi in salute e per lo svolgimento delle normali funzioni fisiologiche.

I fabbisogni energetici delle donne adulte sono differenti in base alla fascia di età e all’attività fisica svolta: il fabbisogno energetico per le donne dai 18 ai 29 anni varia da 1790 kcal a 3550 kcal al giorno, dai 30 ai 59 anni varia da 1820 kcal a 3160 kcal al giorno e, con l’aumentare dell’età, diminuisce ulteriormente25.

Per quanto riguarda le raccomandazioni per i macronutrienti26, i grassi devono essere il 20-30% dell’energia totale, in particolare la dose giornaliera di acidi grassi polinsaturi (chiamati anche omega-3) raccomandata è di 0,5 g di EPA (acido eicosapentaenoico) + DHA (acido docosaesaenoico), evitando dosaggi più alti e prolungati poiché possono avere l’effetto opposto27. Questa quantità̀ è facilmente raggiungibile mangiando pesce 2 volte alla settimana e olio extra vergine di oliva ad ogni pasto, così come circa 20 g di noci al giorno28.

Per quanto riguarda i carboidrati, si consiglia l’assunzione di 45-60% preferibilmente da cereali integrali29.

Gli zuccheri devono essere meno del 15% dell’energia totale giornaliera30, ma non devono essere esclusi totalmente in quanto potrebbe rivelarsi importante avere livelli adeguati di zuccheri nel sangue per sostenere il sistema immunitario. Infatti, nonostante vi siano ancora pochi studi scientifici a riguardo, è possibile che una severa restrizione calorica cronica possa comportare deficienze a carico del sistema immunitario, soprattutto in età avanzata31 32.

In merito alle proteine, se ne consigliano 0,8 grammi ogni kg di peso, al giorno.

È importante assumere 25 g di fibra al giorno attraverso il consumo di verdura, legumi, cereali integrali e frutta33.

I micronutrienti con maggiori evidenze scientifiche a sostegno della loro funzione di supporto al sistema immunitario sono la vitamina C, la vitamina D e lo zinco34.

Partendo dalle vitamine, si consiglia di consumare alimenti ricchi di vitamina C come peperoni, pomodori, agrumi, kiwi, fragole, cavolo rosso, broccoli, lattuga, rucola, ribes35. È importante che questi alimenti siano consumati crudi perché la vitamina C è termolabile, vale a dire che si perde con la cottura.

Si è visto che la carenza di vitamina D è stata associata a un aumento dell’incidenza o della mortalità da COVID-1936 quindi è fondamentale assumerla sia attraverso l’alimentazione che attraverso l’esposizione moderata ai raggi solari. È abbondante in pesci come aringa, sugarello, spigola, alici, sgombro, triglie, funghi e uova37 . La vitamina D ha anche un importante ruolo nel migliorare la qualità del sonno.

La vitamina A viene assunta sotto forma di acido retinoico negli alimenti come carote, spinaci, peperoni, zucca, barbabietola, patate dolci, crescione, cicoria, sedano, cachi e albicocche, ma anche in spezie come la paprica e nell’uovo38.

Altre vitamine si sono rivelate utili nel sostegno e rafforzamento del sistema immunitario e tra queste troviamo la vitamina E, molto presente in semi di girasole, mandorle, nocciole, avocado, cicoria, gamberetti, more di rovo, castagne, olio extra vergine d’oliva, olive da tavola39 e le vitamine del gruppo B, di cui sono ricchi prodotti ittici come vongole, aringhe, trota, sgombro, salmone, uova (vitamina B 12), spinaci, patate, legumi, frutta (esclusi gli agrumi) (vitamina B6), asparagi, biete, fave fresche, agretti, fagiolini, carciofi, indivia o scarola, cavolo cappuccio, cavolfiore, finocchi (vitamina B9)40.

Tornando ai minerali, lo zinco si trova principalmente nel pesce, nei cereali, nei legumi (fagioli, lenticchie, ceci), nella frutta secca (mandorle, pinoli, anacardi), nei semi (zucca, sesamo e girasole), nei funghi e nel cacao.

Anche ferro, rame e selenio, con meccanismi diversi e molto precisi, ci aiutano ad avere un sistema immunitario efficiente. Il ferro introdotto con la dieta si distingue in ferro “eme” e in ferro “non eme”.

  • Il primo è presente negli alimenti di origine animale e contiene una molecola (eme) che, grazie all’atomo di ferro, è in grado di legare l’ossigeno e di trasportarlo ai tessuti. Il ferro “eme” è facilmente assorbibile dall’organismo e si trova in fegato, carni rosse equine e bovine; anche spigola e vongole ne sono ricche, così come frutti di mare in generale, alici e acciughe41.

 

  • Il ferro “non eme”, non essendo legato al gruppo “eme”, per essere più facilmente assorbito deve prima essere ridotto da un agente antiossidante, come la vitamina C (acido ascorbico). Associare quindi alimenti che contengono ferro “non eme” come lenticchie, fagioli, prugne essiccate, uvetta e albicocche essiccate, anacardi e pistacchi ad altri alimenti ricchi di vitamina C, come agrumi, kiwi, succo di limone, pomodori, peperoni crudi e rucola, ne favorisce l’assorbimento. Al contrario, alcune sostanze inibiscono l’assorbimento del ferro “non eme”, per cui l’assunzione contemporanea dei seguenti alimenti è sconsigliata: tè, caffè, cioccolato, yogurt, formaggi o alimenti ricchi di calcio, acqua calcica.

Il rame si trova principalmente in ostriche, frutta a guscio, semi oleosi, cioccolato fondente, cereali integrali e carne42. Il selenio è particolarmente presente in cereali, pesce, carne e latticini43.

Per maggiori informazioni riguardo integrazioni ai fabbisogni nutrizionali, esercizio fisico, sonno, oltre a ricette sane e delizione per le donne di tutte le età, scaricate gratuitamente le “Linee guida nutrizionali e di stile di vita per le donne per rafforzare il sistema immunitario” al seguente link.

Link qui https://www.fondazionevalterlongo.org/linee-guida-nutrizionali-per-le-donne-per-rafforzare-il-sistema-immunitario/

FONTI: Per la bibliografia, fare riferimento al PDF delle linee guida.

INVECCHIAMENTO E SFIDE DELLA MEDICINA

di Corinna Montana Lampo

Sulla ricerca scientifica che studia l’invecchiamento si basa anche la risoluzione di problematiche di carattere clinico. Per ottimizzare prevenzione e cura di svariate patologie, infatti, è necessario conoscere le cause delle malattie a livello cellulare e molecolare. Lo studio della biochimica ci permette di capire come ristabilire appieno il corretto e sano funzionamento di cellule e molecole in caso di disfunzioni.

LA BIOCHIMICA AL SERVIZIO DELLA MEDICINA

Grazie allo studio incrociato di biochimica e genetica dell’invecchiamento, da un lato, e l’impiego di strategie basate sui processi di protezione delle cellule per risolvere problemi medici, dall’altro, si è arrivati a scoprire la diversa resistenza e sensibilizzazione allo stress delle cellule in caso di digiuno prolungato. Il professor Valter Longo e il team di ricercatori del suo laboratorio hanno concentrato la loro attenzione proprio in tal senso, mettendo a confronto cellule sane con cellule tumorali.

In particolare, grazie alle loro sperimentazioni, i ricercatori hanno scoperto una diversa risposta allo stress da parte di cellule normali e cellule malate. Quando vengono “affamate”, le cellule sane sono spinte ad attuare una modalità di protezione elevata; mentre le cellule cancerose si comportano in modo opposto e diventano molto vulnerabili a chemioterapia e altre terapie anti-tumorali. Le stesse strategie potrebbero essere applicabili anche ad altre patologie croniche come diabete, malattie cardio-vascolari, neuro-degenerative e autoimmuni.

GLI ENTI DI RICERCA VOTATI ALLA LONGEVITÀ

La USC (University of Southern California) di Los Angeles ospita la Leonard Davis School of Gerontology, che è il più importante e antico istituto al mondo dedicato alla ricerca e alla didattica sull’invecchiamento, dove lavorano studiosi dell’invecchiamento umano della portata di Caleb Finch (tra i massimi esperti mondiali per la ricerca scientifica in questo ambito, specializzato in biologia cellulare e morbo di Alzheimer). Sempre all’interno della USC, Valter Longo ha fondato il Longevity Institute, dove sono impegnati numerosi scienziati e clinici, uniti nell’intento comune di perseguire il benessere degli individui e farli vivere più sani e a lungo possibile.

È proprio qui che la ricerca sulla biochimica dell’invecchiamento si unisce alla ricerca in campo medico. Il Longevity Institute, infatti, ha avviato una collaborazione con un altro importante ente a livello mondiale: il Buck Institute for Aging Research, guidato dal pioniere della genetica dell’invecchiamento Brian Kennedy. I due istituti vantano un totale di oltre 40 scienziati che, insieme alle centinaia di ricercatori e studenti, rivolgono le loro indagini al campo della biomedicina dell’invecchiamento. Gli studi portati avanti in questi importanti istituti hanno consentito di arrivare a una conoscenza molto più approfondita delle basi e degli aspetti clinici legati alle malattie croniche connesse all’invecchiamento.

N campo della biochimica dell’invecchiamento associata alla ricerca in ambito clinico, poi, in Italia, abbiamo uno tra i più importanti istituti di ricerca sul cancro in Europa: l’IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) di Milano, dove Valter Longo dirige il Programma Oncologia e Longevità. Qui le ricerche sono concentrate in particolar modo sull’individuazione dei meccanismi che portano all’invecchiamento cellulare e alla correlazione con l’insorgere dei tumori, come pure alla protezione differenziale di cellule sane e tumorali. La connessione tra i nutrienti introdotti con l’alimentazione e i geni che regolano la protezione è al centro dell’attenzione dei ricercatori. È stato dimostrato che la privazione di alcuni nutrienti protegge le cellule sane e promuove la morte delle cellule cancerose, oltre a stimolare la rigenerazione cellulare. L’effetto complessivo è un’azione anti-tumorale, collegata a un potenziamento del sistema immunitario.

>>> Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016

 

L’INSONNA È SCRITTA NEGLI STESSI GENI CORRELATI ANCHE A DEPRESSIONE E DIABETE

L’insonnia è ereditaria e ha un legame con disturbi psichici (asia, depressione e stress), malattie cardiache e del metabolismo (come il diabete di tipo 2). Lo confermano due studi pubblicati su Nature Genetics (marzo 2019). Una ricerca condotta in sinergia tra la University of Exeter (Devon – UK) e IL MGH – Massachusetts General Hospital (USA), analizzando i dati di 450mila cittadini britannici, raccolti nella UK BioBank, più altre informazioni riverite a 15mila norvegesi e 2.200 americani. La seconda ricerca in questione è stata portata avanti in parallelo dalla VU – Libera Università di Amsterdam, riferiti a oltre 1,3 milioni di individui, i cui dati sono raccolti nella UK Biobank e altri forniti dall’azienda americana 23andME.

LE DUE NUOVE RICERCHE SULLE ALTERAZIONI DEL SONNO

Lo studio condotto dalla University of Exeter e dal Massachusetts General Hospital, ha permesso di identificare 57 loci (posizioni) genetici associati ai sintomi dell’insonnia. Inoltre, con questa indagine, si è scoperto che gli stessi geni sono anche messi in relazione con altri disturbi, come malattie cardiache, patologie metaboliche e depressione, ma anche ansia e stress. Tutti disturbi che, tra l’altro, possono peggiorare proprio a causa dell’insonnia stessa, in una sorta di collegamento bidirezionale.

L’indagine condotta alla VU di Amsterdam, poi, ha individuato 202 loci genetici, che coinvolgono ben 956 geni, collegati all’insonnia. Inoltre, è stato rilevato che le stesse regioni del codice genetico sono anche coinvolte nella regolazione di emozioni, tensioni e stress e non, come si pensava, a processi neurologici che regolano il sonno. Da qui la deduzione che l’insonnia ha le stesse basi genetiche di disturbi psichici (come ansia e depressione) e malattie metaboliche (come il diabete).

UN DISTURBO DA NON SOTTOVALUTARE

Queste due nuove indagini, vanno a confermare le ipotesi già validate da studi precedenti, oltre che fornirci informazioni aggiuntive riguardo alle problematiche legate al sonno. La difficoltà a dormire è scritta nei nostri geni e, in parte, si tramanda di padre in figlio (e di madre in figlia). In base ai nuovi studi, le persone che soffrono di insonnia sarebbero già predisposte, ma uno stile di vita ha comunque un forte impatto nel poter migliorare (o viceversa peggiorare) questa sgradevole condizione di non-riposo.

Grazie a queste due nuove ricerche, dunque, è possibile mettere le basi per nuove terapie nella cura dell’insonnia. Una problematica molto comune che disturba il riposo di parecchie persone nel mondo.

FONTI

Lane JM et Al. – Biological and clinical insights from genetics of insomnia symptoms – Nature Genetics (2019 Mar)

Jansen PR et Al . – Genome-wide analysis of insomnia in 1,331,010 individuals identifies new risk loci and functional pathways – Nature Genetics (2019 Mar)