COS’È LA SINDROME METABOLICA

Con l’espressione sindrome metabolica si intende una serie di alterazioni del metabolismo associate tra loro: ipertensione, obesità e diabete. Tutti fattori di rischio per le malattie cardio-vascolari, la cui combinazione aumenta la probabilità di incorrere in disturbi vascolari, problemi cardiaci, fino al rischio di ictus. Pressione alta, obesità e diabete sono patologie correlate tra loro e sempre più diffuse, a causa di abitudini alimentari scorrette e stile di vita sregolato. La sindrome metabolica viene indicata anche come sindrome da insulino-resistenza, poiché si reputa che sia dovuta alla resistenza delle cellule all’insulina. Ormone sintetizzato dal pancreas che permette al glucosio del sangue di entrare nelle cellule ed essere utilizzato come fonte di energia. Nel caso di insulino-resistenza le cellule non rispondono allo stimolo dell’insulina e, quindi, il glucosio rimane nel sangue, con livelli che aumentano, nonostante l’organismo tenti di mantenerlo sotto controllo producendo sempre più insulina.

QUALI SONO I SINTOMI E COME DIAGNOSTICARE LA SINDROME METABOLICA

La medicina ha individuato diversi fattori che contribuiscono a causare la sindrome metabolica. In primis, fattori genetici, che variano da individuo a individuo su base etnica, in relazione alla predisposizione per la resistenza insulinica. Poi ci sono fattori molecolari, ovvero la presenza di recettori nucleari, sostanze infiammatorie, proteine e ormoni che regolano il glucosio nel sangue. Infine, ma non da ultimi, fattori ambientali, correlati a scorrette abitudini alimentari, sovrappeso e sedentarietà. In definitiva, chi è ha una predisposizione genetica nello sviluppare insulino-resistenza e, allo stesso tempo, svolge poca attività fisica e accumula peso in eccesso, corre un rischio maggiore di essere affetto da sindrome metabolica.

L’accertamento è basato sulla combinazione di 5 fattori di rischio tra cui: obesità e circonferenza vita; ipertensione; colesterolo HDL; trigliceridi e glicemia (o insulino-resistenza). Parametri individuati da enti internazionali come WHO (World Health Organization), IDF (International Diabetes Federation), AHA/NHLBI (American Heart Association / National Heart, Lung and Blood Institute) e ATIII-NCEP (Adult Treatment Panel III – National Cholesterol Education Program). Per parlare di sindrome metabolica devono coesistere almeno 3 dei 5 parametri alterati. Secondo le Linee Guida internazionali più diffuse, i valori limite sono:

  • circonferenza vita ≥  102 cm nei maschi e ≥ 88 cm nelle femmine
  • pressione arteriosa ≥ 130 / 85 mmHg
  • colesterolo HDL < di 40 mg/dl nei maschi e < 50 mg/dl nelle femmine
  • trigliceridi ≥ 150 mg/dl
  • glicemia (a digiuno) ≥ 110

Conoscere i parametri da tenere sotto controllo è fondamentale, anche perché rappresentano fattori di rischio cardio-vascolare. Inoltre, spesso chi è affetto da sindrome metabolica presenta anche problemi di coagulazione del sangue e infiammazione cronica, oltre che altre condizioni patologiche tra cui fegato grasso, calcoli biliari, ovaio policistico e apnee notturne. Ecco l’importanza di intervenire sistemicamente, nell’affrontare la sindrome metabolica. A questo si aggiunge il ruolo indispensabile della prevenzione.

COME PREVENIRE E CURARE LA SINDROME METABOLICA

 

Per prevenire la sindrome metabolica esiste un’unica via. Adottare uno stile di vita sano, basato sul mantenimento del peso forma, grazie a un’alimentazione corretta ed equilibrata, insieme alla pratica di attività fisica regolare e quotidiana. Tutte azioni concrete che consentono di tenere sotto controllo pressione sanguigna, valori del colesterolo e glucosio presente nel sangue. Inoltre, è bene moderare il consumo di alcol ed evitare totalmente il fumo.

 

Come si cura la sindrome metabolica? Innanzitutto, è necessario modificare le proprie abitudini, verso uno stile di vita più sano, basato su una dieta equilibrata, l’aumento di esercizio fisico regolare moderato, che favorisce perdita di peso e riduzione del grasso corporeo, soprattutto addominale. In caso di sovrappeso, inoltre, è opportuno ridurre la quantità di calorie introdotte ogni giorno. Diminuire l’assunzione di zucchero, dolci, bevande zuccherate, sale da cucina e grassi di origine animale. Consumare regolarmente frutta, verdure, legumi e cereali integrali. Limitare il consumo di proteine animali, tra cui carni rosse, insaccati, latte e formaggi. Per condire, usare solo olio extravergine di oliva a crudo. Ecco semplici accorgimenti quotidiani per ridurre il peso corporeo: usare le scale, spostarsi a piedi o in bicicletta, camminare a passo veloce circa 10 minuti 3 volte a settimana, fino a 30-60 minuti 4-6 volte la settimana. In caso di patologia conclamata, in base alla presenza di parametri alterati, il medico può prescrivere una terapia farmacologica per tenere sotto controllo pressione, abbassare colesterolo e trigliceridi o ridurre la glicemia.

FONTI

 

L’ALIMENTAZIONE PER RALLENTARE L’INVECCHIAMENTO E PREVENIRE LE MALATTIE

Fin dall’antichità, filosofi e scienziati attribuivano all’alimentazione un ruolo importante per la cura e la salute della persona. Questo perché la qualità e la frequenza degli alimenti che consumiamo influenza il mantenimento del nostro stato di salute o di malattia e ad oggi lo attestano numerose evidenze scientifiche.

Acquisire consapevolezza circa le nostre scelte alimentari, comprendendo quanto, quando e cosa mangiare, rappresenta uno dei più potenti, sicuri ed efficaci mezzi per estendere le capacità funzionali dell’organismo e rallentare l’invecchiamento.

La dieta della Longevità, descritta nell’ultimo articolo del Professor Valter Longo pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell1, è frutto di anni di studi che prendono in considerazione vari aspetti della dieta, dalla composizione degli alimenti e calorie assunte alla durata e frequenza dei periodi di digiuno, analizzati in diverse specie viventi a partire dai batteri fino all’essere umano.

Quanto emerso da questi studi è che l’aumento di attività di alcuni ormoni, fattori e percorsi genetici causati dall’assunzione di proteine o zuccheri sono associati all’invecchiamento accelerato e/o alle malattie legate all’età. Tuttavia, l’intervento dietetico continuo, intermittente o periodico può, regolare questi percorsi generando risposte coordinate efficaci contro di essi sia nel breve che nel lungo termine.

L’analisi, in particolare, ha valutato diete popolari come la restrizione delle calorie totali, la dieta chetogenica ricca di grassi e povera di carboidrati, le diete vegetariane e vegane e la dieta mediterranea.

Una lieve restrizione calorica, che generalmente coincide con un ridotto contenuto di zucchero, amidi, grassi saturi e proteine, è efficace nel promuovere la longevità poiché agisce favorendo i processi di rigenerazione e protezione nell’organismo. Questi meccanismi, che risultano essere gli stessi legati al digiuno, permettono una ridotta infiammazione a livello sistemico e aiutano a prevenire malattie croniche quali diabete, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni e tumori2.

La dieta chetogenica e altre diete a basso apporto di carboidrati sono state studiate a lungo anche sull’uomo: esse non risultano essere più efficaci nel regolare l’indice di massa corporea (IMC), livelli di colesterolo e grassi nel sangue rispetto ad una dieta bilanciata, come confermato in una recente meta-analisi che ha preso in considerazione diete ipocaloriche, a basso contenuto di grassi o proteine ed alto contenuto di carboidrati3.

Le diete vegane, risultano essere benefiche nel contrastare l’invecchiamento e le malattie, poiché permettono una riduzione dei fattori di crescita insieme ad un minor livello di insulina e maggior sensibilità alla stessa. Tuttavia non sono al pari della dieta vegetariana o pescetariana, poiché queste ultime riescono allo stesso tempo a prevenire il rischio di fratture ossee conseguente ad un’aumentata fragilità, comune in soggetti vegani, quando non attenti anche all’integrazione4.

Inoltre, una dieta relativamente ricca di carboidrati, in assenza di obesità e insulino-resistenza, risulta l’ideale perché il consumo parzialmente elevato di carboidrati complessi può contribuire a ridurre la fragilità, in particolare negli anziani, fornendo energia senza aumentare l’insulina e attivando le vie di segnalazione del glucosio.

Sono state poi valutate le diverse forme di digiuno, tra cui il digiuno intermittente (frequente e a breve termine) e il digiuno periodico (due o più giorni di digiuno o diete che simulano il digiuno).

Il digiuno intermittente sembrerebbe avere effetti benefici, ma non risulta essere migliore rispetto a una lieve restrizione calorica per ridurre peso e grasso corporeo o fattori di rischio associati a malattie; a parità di efficacia, aderenza e rischio di effetti collaterali, un digiuno quotidiano di 11-12 ore sembra invece essere il compromesso ideale5.

In aggiunta a ciò, il digiuno periodico sta emergendo come alternativa al digiuno intermittente, poiché può essere applicato ad intervalli regolari e associato alle terapie farmacologiche per il trattamento di alcune malattie quali il cancro6.

La dieta mima digiuno invece è stata sviluppata per aumentare aderenza, applicabilità e sicurezza del digiuno periodico, ma anche per ricercare i nutrienti in grado di intensificare i benefici legati al digiuno protratto per 3 giorni o più.

I marcatori di rischio di malattia quali i livelli di insulina, proteina C reattiva (marcatore di infiammazione), fattore di crescita simile all’insulina 1 (IGF-1) e colesterolo, sono influenzati infatti dalla composizione della dieta, oltre che dal digiuno.
Per tali ragioni, lo studio è stato infine focalizzato su specifici fattori e componenti della dieta, coinvolti in diversi percorsi genetici di regolazione della longevità.

La Dieta della Longevità è caratterizzata da una lieve restrizione calorica e prevede una selezione di specifici componenti della dieta mantenendo un’attenzione rispetto a età, sesso e condizione di salute. Essa rappresenta perciò un valido strumento aggiuntivo ai trattamenti standard e una misura preventiva sullo sviluppo di malattie e mantenimento dello stato di salute in età avanzata.

I pilastri su cui essa si basa costituiscono ormai un determinatore comune per la longevità e uno stimolo a cambiare le nostre abitudini, suggerendoci di:

  • preferire un apporto medio-alto di carboidrati complessi e grassi buoni, e una quantità di proteine prevalentemente di origine vegetale limitata, ma sufficiente (da modulare in termini quali-quantitativi nel caso di soggetti sopra i 65 anni o nel bambino);
  • adottare un digiuno notturno quotidiano di 11-12 ore intervallato da dei cicli annuali di dieta mima digiuno della durata di 5 giorni;
  • mantenere un BMI inferiore a 25 e un grasso corporeo e circonferenza addominale ideali per sesso ed età.

In sintesi, proponiamo che la dieta della longevità sia un prezioso complemento all’assistenza sanitaria standard e che, presa come misura preventiva, potrebbe aiutare ad evitare la morbilità, sostenendo la salute fino all’età avanzata.

FONTI

  1. Longo V.D. et al.; Nutrition, longevity and disease: From molecular mechanisms to interventions; Cell.2022 Apr 28;185(9):1455-1470.
  2. CW CHeng et al.; Prolonged Fasting Reduces IGF-1/PKA to promote hematopoietic-stem-cell-based regeneration and reverse immunosuppression; Cell Stem Cell, 2014
  3. Lopez-Espinoza et al.; Effect of a Ketogenic diet on the nutritional parameters of obese patients: a systematic review and metanalysis. Nutrients 2021; 13, 2946.
  4. Tong, T.Y.N. et al.; Vegetarian and vegan diets and risks of total and site-specific fractures: results from the prospective EPIC-Oxford study. BMC 2020; 18, 353
  5. Deying Liu, M.D., et al.; Calorie Restriction with or without Time-Restricted Eating in Weight Loss; N Engl J Med 2022; 386:1495-1504
  6. Longo, V.D. et al.; Intermittent and periodic fasting, longevity and disease. Aging 2020; 1, 47–59

IL CUORE DELLE DONNE A RISCHIO CON LE DIETE A EFFETTO YO-YO

Uno studio della Columbia University di New York rivela che diete drastiche e repentino aumento di peso compromettono la salute cardiovascolare delle donne. I risultati preliminari della ricerca sono stati presentati all’American Heart Association’s Epidemiology and Prevention – Lifestyle and Cardiometabolic Health Scientific Sessions (marzo 2019). Sotto accusa le diete ad effetto “yo-yo” che possono rendere difficile tenere sotto controllo i principali fattori di rischio per le malattie cardiache.

AUMENTO DI MALATTIE CARDIACHE ASSOCIATO A SBALZI DI PESO

Sono soprattutto le diete fai-da-te a causare quello che viene chiamato effetto “yo-yo”. Secondo i risultati dell’indagine condotta dal gruppo di ricercatori della Columbia University Irving Medical Center, sarebbe proprio il dimagrimento associato a una veloce ripresa di peso, nel giro di un anno, ad aumentare il rischio di malattie cardiache nelle donne. Raggiungere il peso-forma è una delle principali raccomandazioni che viene fatta alle donne in sovrappeso per la salute del cuore. Tuttavia, mantenere la perdita dei chili e le stesse fluttuazioni di peso possono inficiare la salute cardio-vascolare. 

Lo studio ha coinvolto un gruppo di quasi 500 donne americane adulte, di età media 37 anni, appartenenti a diverse etnie, in sovrappeso (con indice di massa corporea di 26). Le partecipanti sono state seguite per 5 anni, in cui hanno riferito quante volte (escluse eventuali gravidanze) erano dimagrite dai 4,5 ai 10 chili dopo una dieta, per poi riprendere tutto il peso perso nel giro di un anno. Per calcolare il punteggio legato al rischio di sviluppare malattie cardiache, i ricercatori si sono basati su 7 fattori di rischio (Life’s Simple 7) definiti dall’American Heart Association’s (pressione sanguigna, glicemia, colesterolo, indice di massa corporea, alimentazione, attività fisica e fumo).

 

DIETE DRASTICHE NON PERMETTO DI MANTERE IL PESO-FORMA

Molte (il 73%) delle donne partecipanti allo studio, hanno dichiarato di essere state soggette ad almeno un episodio di dieta con effetto “yo-yo”. Tra queste, la probabilità di avere un punteggio ottimale è stata inferiore del 65%, rispetto alle donne che, nonostante il sovrappeso, non hanno avuto variazioni di peso. Allo stesso modo, le donne soggette a drastici e veloci cambiamenti di peso hanno registrato il 51% di probabilità in meno di avere un punteggio moderato. Inoltre, l’effetto “yo-yo” è stato correlato all’82% in meno di probabilità di essere normo-peso (ovvero con indice di massa corporea tra 18,5 e 25, che indica una situazione di peso-forma salutare).

Il rischio di malattie cardiache, poi, aumenta all’aumentare degli episodi “yo-yo”. Inoltre, i ricercatori hanno notato che l’impatto negativo di questa tipologia di dieta, si è rivelato più alto per quelle donne che non avevano avuto gravidanze, presumibilmente più giovani. Questo dato aggiuntivo, indica che anche l’età svolge un ruolo importante: ovvero, prima cominciano gli episodi “yo-yo” peggiore sarà il loro impatto. Per confermare questi risultati in relazione all’età, sarebbe opportuno proseguire lo studio portandolo fino a dieci anni di follow-up. In ogni caso, sono necessarie ulteriori indagini, sia per indagare sulla relazione causa-effetto tra variazioni di peso e malattie cardiache, sia per studiare l’effetto sulla popolazione maschile.

FONTI

Yo-Yo Dieting Linked to Heart Disease Risk in Women – Columbia University (March 2019)
https://www.cuimc.columbia.edu/news/yo-yo-dieting-linked-heart-disease-risk-women
Laura M. Welt et Al. – Weight Fluctuation and Cancer Risk in Post-Menopausal Women: The Women’s Health Initiative
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5413381/pdf/nihms842416.pdf

DIFFERENZE TRA DIGIUNO, RESTRIZIONE CALORICA E DIETA MIMA DIGIUNO

di Corinna Montana Lampo

Facciamo un po’ di chiarezza tra questi termini, per una maggiore consapevolezza in ambito nutrizionale.

LE CONSEGUENZE DEL DIGIUNO

Quando si parla di digiuno, si pensa subito all’astensione completa dal cibo e all’assunzione di sola acqua. I primi esperimenti in laboratorio sono stati condotti proprio in tal senso. Si è visto che negli organismi monocellulari come il lievito la cosa può funzionare e vivono il doppio, grazie agli effetti protettivi dallo stress ossidativo. In organismi complessi come i mammiferi, invece, in digiuno prolungato può comportare un eccessivo indebolimento, fino a provocare danni legati alla malnutrizione.

Dopo 24 ore di digiuno forzato il corpo ha già esaurito le scorte di energie che recupera da grassi e zuccheri (trigliceridi e glucosio), andando a intaccare i muscoli, per scindere le proteine in amminoacidi che vengono usati come fonte energetica di emergenza. Il risultato è una conseguente riduzione di massa muscolare, accompagnata da debolezza e astenia. A lungo andare ne risente anche il cervello, che pian piano viene privato del glucosio necessario alla sua sopravvivenza. Oltre i 24 giorni di digiuno, “nutrito” di sola acqua, il corpo umano raggiunge uno stato di sofferenza tale da comportare acidosi che determina uno stato infiammatorio diffuso, come pure l’abbattimento delle difese immunitarie.

I BENEFICI DELLA RESTRIZIONE CALORICA

La restrizione calorica consiste in una riduzione dell’assunzione di cibo e del relativo apporto calorico, nell’arco di una giornata. Grazie alla restrizione calorica è possibile innescare quei processi di rigenerazione e protezione nell’organismo che portano a prevenire le malattie croniche, come diabete, obesità, problematiche cardio-vascolari, patologie neuro-degenerative e tumori. Oltre che migliorare lo stato di salute generale. L’effetto immediato si vede come una riduzione del grasso corporeo, in particolare quello addominale, come pure miglioramento dell’umore e della qualità del sonno.

Anche la restrizione calorica sul lungo termine se praticata malamente, però, può condurre a vari effetti collaterali. Deficit del sistema immunitario, ferite che non guariscono, elevati livelli di stress etc. Ecco perché se si vuole seguire un programma di restrizione calorica per migliorare le nostre condizioni di salute, è necessario affidarsi a medici e nutrizioni esperti che ci possano indirizzare al meglio.

PARLIAMO DI DIETA MIMA DIGIUNO

La Dieta Mima Digiuno (DMD) è un regime alimentare messo a punto dal professor Valter Longo, grazie al lavoro di anni di ricerche scientifiche incentrate sulla longevità. La DMD simula il digiuno, senza privare dal cibo completamente. In particolare, la DMD prevede una forma di restrizione calorica dell’alimentazione quotidiana studiata ad hoc, da seguire 5 giorni di fila ogni 3-6 mesi, a seconda dello stato di salute. Durante questi cinque giorni ci si nutre di zuppe di verdure e frutta secca, accompagnate da acqua, the e tisane. Viene ridotto l’introito di proteine e grassi saturi, mentre gli zuccheri semplici sono banditi, mantenendo l’assunzione di nutrienti essenziali, minerali, vitamine e apporto calorico adeguato.

Così facendo, viene innescato il processo di rigenerazione cellulare, a partire dalle cellule staminali, che favorisce un restart dell’organismo. Studi scientifici hanno dimostrato che gli effetti benefici della DMD si traducono in un rinforzo del sistema immunitario e un miglioramento delle condizioni di salute. Grazie agli studi condotti preliminarmente sui topi, inoltre, è stato provato che la DMD permette di rallentare l’invecchiamento e prevenire malattie come obesità, diabete, patologie cardio-vascolari e tumori.

>>> Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
  2. CW CHeng et al.; Prolonged Fasting Reduces IGF-1/PKA to promote hematopoietic-stem-cell-based regeneration and reverse immunosuppression; Cell Stem Cell, june 2014
  3. KK Ray et al. Sattar; Statins and all-cause mortality in high-risk primary prevention: a meta-analisys of 11 randomized controlled trials involving 65,229 partepipans. Archives of Internal Medicine, 170, 2010

GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO: CIBO, CULTURA E INTEGRAZIONE

Nella giornata mondiale del rifugiato il 20 giugno la Fondazione Valter Longo Onlus desidera ricordare tutti coloro che fuggono da guerre, violenza, persecuzioni, discriminazioni alla ricerca di pace, inclusione e rispetto per i diritti di tutti.

IL CIBO È CULTURA.E IDENTITÀ

Si desidera anche rammentare come il cibo possa divenire un elemento importante per promuovere l’integrazione e l’incontro tra culture. Avvicinarsi al cibo, alla cucina e alle tradizioni “dell’altro” è un passo iniziale importante per cominciare a comprendere una cultura spesso totalmente sconosciuta o con cui si è entrati solo superficialmente in contatto, per iniziare a indagare nei meandri di universi affascinati e diversi dal nostro e per aprire le mente attraverso prospettive nuove e differenti. Apertura e curiosità guidano spesso coloro che danno inizio a questo percorso e sono qualità da perseguire. È questo lo spirito indagatore e desideroso di conoscere che ha portato i mercanti veneziani nel lontano 1600 ad assaggiare una bevanda scura, sospetta e simile alla pece come il caffè e introdurla da Costantinopoli a Venezia, la prima città in Europa dove sono stati aperti dei caffè e che intratteneva forti legami e scambi con il modo ottomano.

Il cibo rappresenta chi siamo, la nostra cultura, la nostra identità, la nostra storia personale (e non solo), le nostre radici e tradizioni come descrive lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari nel suo testo Il cibo come cultura. Un piatto davanti a noi può raccontare molte storie risalendo a un lontano passato e farci comprendere dinamiche presenti nella realtà odierna. Ad esempio, recenti versioni della pizza con il kebab che si trovano in alcune pizzerie in Italia narrano della pizza quale piatto che risale a centinaia di secoli fa nell’area Mediterraneo, del pomodoro introdotto dalle Americhe in Europa nel 1500 e nella cucina italiana più di un secolo dopo, della nuova migrazione verso la fine del ventesimo secolo in Italia e della accettazione, graduale e pur non senza resistenze, della presenza di altre nazionalità nella nostra penisola.

Custodi di storie, viaggi, migrazioni, carestie, guerre ed anche abbondanza, feste, incontri felici, il cibo e la cucina svelano messaggi importanti. Sono portatori di memorie e identità e si rivestono di un profondo significato emotivo, culturale, sociale e talvolta anche politico.

 I RIFUGIATI, I MIGRANTI E IL CIBO DI CASA E IL CIBO DELL’ALTRO

Da un lato abbiamo i rifugiati e i migranti, dall’altro troviamo le comunità locali e le dinamiche non sono spesso semplici. Per i nuovi arrivati il “cibo di casa”, di una realtà che loro malgrado sono stati costretti ad abbandonare ma che a loro appartiene, rappresenta un mondo a cui sono affettivamente legali ed ha un’importanza culturale ed anche emotiva enorme rivestendosi di nostalgia e senso di perdita. I piatti tradizionali rappresentano casa, famiglia, amici, radici, tradizioni, la propria identità in bilico e fragile in un nuovo Paese. Aggrapparsi a quello che si mangiava in una vita precedente è anche il tentativo di ricordarsi chi si è, da dove si viene e per ricevere ristoro e supporto in una dimensione nuova e sconosciuta che può creare tensione e paura. Questo se lo ricordano bene i migranti italiani nel secolo scorso negli Stati Uniti, chiamati significativamente “mangia maccheroni”.

Il cibo come conforto è una dinamica conosciuta a tutti noi e richiama ricordi ed emozioni spesso lontani nel tempo. La memoria proustiana entra in gioco e ci permette di viaggiare nello spazio e nel tempo grazie a un sapore e un odore come le madeleine dello scrittore francese Marcel Proust, che lo riportavano magicamente alla sua infanzia e alle domeniche mattina con la zia Léonie e alle sue madeleine intinte nel tè. D’altro canto, avvicinarsi alla cultura, anche culinaria, del Paese ospite è un ulteriore tentativo di integrazione e desiderio di appartenenza a una realtà mai sperimentata in precedenza e può portare alcuni, nel corso degli anni, a un rifiuto del passato, incluso del cibo, per buttarsi a capofitto nella novità alla disperata ricerca di sentirsi parte, accettati e “inclusi”. 

I PAESI DI ACCOGLIENZA E IL CIBO: NEOFOBIA, GASTRONAZIONALISMO E LA CALIFORNIA CUISINE

Vi sono poi gli abitanti del Paese di accoglienza, anche loro spesso smarriti di fronte a cambiamenti talvolta veloci e improvvisi della dimensione in cui si trovavano a vivere. La neofobia, la paura di ciò che è nuovo anche a livello alimentare, è una reazione normale di difesa di tutti gli animali e dell’uomo davanti a ciò che non si conosce e che può essere potenzialmente minaccioso per la sopravvivenza. Provata la non pericolosità di ciò che si ha di fronte, è possibile allentare le difese ed aprirsi. Ciò avviene grazie alla “memoria di riconoscimento” che porta a identificare come “sicuri” gli stimoli ricevuti e con loro cibi, oggetti e persone vissuti in precedenza e a creare un senso di “familiarità” che porta a superare il timore. Questo processo è lunghissimo, difficoltoso e non senza ostacoli e può, a seconda dei casi, coinvolgere intere generazioni.

L’atteggiamento assunto nei confronti del “cibo dell’altro” può pertanto anche essere rivelatore di resistenze alla trasformazione che ha luogo nel proprio Paese o di graduale disponibilità ad abbracciare il cambiamento e prenderne parte, senza dimenticare le difficoltà.

Da un lato appare, quindi, quello che la sociologa Michaela De Soucey ha definito come “gastronazionalismo”, che riveste la propria cultura del cibo e le pratiche culinarie di un profondo significato sia culturale che politico per rafforzare il senso di appartenenza a una nazione e l’identità di una comunità, spesso in aperta polemica con “l’altro”. È ciò che è successo in Italia quando, nell’universo politico, sono comparsi slogan che contrapponevano all’autoctona polenta il couscous “straniero”, dimenticando che: 1) il mais proviene dalle Americhe e non è un prodotto europeo; 2) il couscous, o meglio cuscusu, è anche un antico piatto siciliano probabilmente risalente alla dominazione araba della Sicilia nel lontano nono secolo o a influenze successive e che viene citato già nel 1785 nel Vocabolario Siciliano Etimologico, Italiano e Latino di Michele Pasqualino.

D’altro canto, abbiamo invece, situazioni maggiormente fluide e flessibili dove vi è un tentativo di inclusione e vi sono momenti di curiosità e passi per avventurarsi in territori da esplorare: ecco il crearsi nel mondo postmoderno di cucine fusion e una delle prime è proprio quella della soleggiata e multiculturale e maggiormente dinamica California. La California Cuisine ha, infatti, assorbito già dagli anni Settanta le esperienze delle comunità presenti nella propria area (messicana, italiana, francese, cinese, giapponese, indiana, ecc.) unendole, semplificandole ed adattandole per dar vita a un universo culinario dove regnano la freschezza e stagionalità degli ingredienti prodotti localmente (per esempio gli avocado), l’ispirazione tratta da culture diverse, oltre all’attenzione nei confronti della salute che porta a privilegiare prodotti organici. Sono proprio Alice Waters e il suo ristorante Chez Panisse a Berkeley e Wolfgang Puck con il suo Chinois on Main a Santa Monica ad inaugurare questa cucina che ha portato sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo piatti quali, ad esempio, la California-style Pizza, una pizza sottile come quella newyorchese o italiana e con ingredienti freschi e locali quali carciofi, formaggio di capra, avocado, ecc.

Il REFUGEE FOOD FESTIVAL E LA VIA DELLA SOLIDARIETÀ UMANA

Il cibo, necessità primaria e fondamentale, ha quindi un enorme potere ed è messaggero e rivelatore di dinamiche emotive, culturali, sociali e anche politiche. Per questo motivo, prestare attenzione a ciò che si mangia e condividere la tavola con gli altri, come appare in molte tradizioni religiose, sembrano essere elementi importanti e momenti di intensa condivisione e creazione di legami forti.

Per le stesse ragioni, interessante ed ammirevole risulta l’iniziativa del Refugee Food Festival (Festival del cibo dei rifugiati) che ha avuto inizio nel 2016 a Parigi e ha ricevuto nel 2018 il supporto della United Nations Refugee Agency – UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Con il desiderio profondo di superare discriminazioni, stereotipi e conflitti, i ristoranti di molte città europee hanno messo le loro cucine a disposizione di chef migranti in occasione della Giornata mondiale del rifugiato il 20 giugno e hanno aperto le loro porte al pubblico interessato a conoscere “il cibo dell’altro”. Sfortunatamente, la pandemia ha dato una battura d’arresto ai 200 cuochi coinvolti nella realizzazione del festival. Tuttavia, nel 2022, in alcune città il Festival avrà luogo.

Ciò che è importante è che, ora e in futuro, si continua ad agire anche attraverso la tavola, attraverso il cibo, attraverso la condivisione per essere maggiormente solidali ed aperti e per migliorare la situazione in cui tutti ci troviamo a vivere, a partire dai rifugiati stessi che soffrono di strappi e lacerazioni profonde difficili da dimenticare e guarire. Come scriveva il sociologo Zygmut Bauman: “Non credo che esista una soluzione breve e facile all’attuale “problema dei rifugiati”. L’umanità è in crisi e non c’è altra via d’uscita se non la solidarietà umana”.

FONTI

Bauman, Zygmut and Evans Brian. “The Refugee Crisis Is Humanity’s Crisis”. The New York Times, May 2nd 2016.

DeSoucey, Michaela. “Gastronationalism: Food Traditions and Authenticity Politics in the European Union”. American Sociological Review. Volume: 75 issue: 3, page(s): 432-455. June 1, 2010.

  • La Cecla Franco, Pasta and Pizza. Chicago, Prickly Paradigm Press, 2007.

Montanari, Massimo. Il cibo come cultura. Bari: Laterza, 2007.

Proust, Marcel. Alla ricerca del tempo perduto. Milano: Mondadori, 2014.

Ukers, William. All About Coffee. Heritage Illustrated Publishing, 2014.

In che modo la dieta mima digiuno può aiutare a ridurre il rischio di malattie cardiometaboliche?

Ci sono numerosi fattori che possono aumentare le possibilità di sviluppare malattie cardiache. Sebbene alcuni di questi fattori non possano essere modificati, come età, etnia e genetica, la buona notizia è che si possono controllare molti altri fattori di rischio modificabili.

Nonostante la consolidata associazione tra cattive abitudini alimentari e un aumentato rischio di disturbi cardiovascolari e metabolici, gli esperti sono alla ricerca di interventi meno invasivi basati sulla nutrizione per agire sulle vie molecolari che producono gli impatti negativi sulla salute.

Un nuovo studio pubblicato su Nutrients mirava a indagare se la dieta mima digiuno di 5 giorni (dmd) influenzi il livello plasmatico di un metabolita in particolare, i cui livelli elevati sono associati ad un aumentato rischio di malattie cardiometaboliche in individui sani. Tale metabolita è chiamato Trimetilammina N-ossido (TMAO), e deriva dal microbiota intestinale, in quanto viene prodotto negli organismi ospiti della flora intestinale a partire da specifici costituenti alimentari, come i prodotti di origine animale. Inoltre, i cambiamenti nel metabolismo del colesterolo e degli acidi biliari e l’attivazione delle vie infiammatorie, sono meccanismi collegati alla promozione dei depositi di grasso nelle arterie da parte del TMAO.

Nello studio, sono stati confrontati due gruppi: uno a cui è stata sottoposta una dmd di 5 giorni e un altro con una dieta regolare, ma con un maggiore apporto di verdure per 5 giorni. L’obiettivo era di confrontare gli effetti di una dieta regolare con un aumento dell’assunzione di verdure e una dmd sui livelli di TMAO e sui marcatori metabolici come i livelli di glucosio a digiuno e i trigliceridi. I risultati hanno mostrato che il gruppo con dmd di 5 giorni ha mostrato una diminuzione più significativa di TMAO, livelli di glucosio a digiuno e livelli di peptide C rispetto al gruppo dietetico ad alto apporto di verdure. Questi risultati nel gruppo della dmd hanno contribuito inoltre a migliorare la sensibilità all’insulina.

Quali sono le novità di questo studio?

Lo studio ha mostrato che la dmd potrebbe potenzialmente essere una strategia praticabile per ridurre i livelli plasmatici di TMAO, che è un biomarcatore di rischio per le malattie cardiovascolari e metaboliche derivato dalla dieta. Inoltre, gli autori dello studio hanno suggerito che questa riduzione del TMAO insieme al miglioramento dei livelli di glucosio a digiuno e dello stato metabolico generale negli individui sani si ottiene limitando l’apporto calorico e il consumo di proteine di origine animale, caratteristico della dmd, piuttosto che una maggiore assunzione di verdure. Allo stesso modo, nel 2017, Wei et al., hanno suggerito che i pazienti sottoposti a dmd, rispetto a quelli con una dieta senza restrizioni, hanno mostrato un potenziale beneficio nell’abbassare alcuni marcatori metabolici come il glucosio a digiuno, i trigliceridi e le lipoproteine a bassa densità. Ciò indica, pertanto, che viene ridotto anche il rischio di sviluppare malattie correlate, avvalorando il valore della dmd, soprattutto per le persone ad alto rischio di sviluppare malattie cardiache.

Fonti:

Videja M, Sevostjanovs E, Upmale-Engela S, Liepinsh E, Konrade I, Dambrova M. Fasting-Mimicking Diet Reduces Trimethylamine N-Oxide Levels and Improves Serum Biochemical Parameters in Healthy Volunteers. Nutrients. 2022;14(5):1093. Published 2022 Mar 5. doi:10.3390/nu14051093

 

GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTE: PICCOLI CAMBIAMENTI PER GRANDI TRASFORMAZIONI

ESSERE CONSAPEVOLI DELL’IMPATTO DELL’ALIMENTAZIONE E DELLO STILE DI VITA SULL’AMBIENTE

Un elemento che dovrebbe essere centrale al dibattito riguardo la sostenibilità ambientale è la trasformazione ed efficientamento dei sistemi alimentari come li conosciamo oggi, necessaria alla salvaguardia della salute umana e del pianeta per le generazioni a venire. In particolare, l’efficientamento dei sistemi di produzione e distribuzione del cibo è centrale al raggiungimento di molti tra i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’agenda ONU per il 2030. 

CAMBIAMENTI A LIVELLO GLOBALE POSSONO SALVARE LA TERRA

Lo sfruttamento intensivo delle terre coltivabili (che arriva a ben il 72% delle terre emerse), attuato per nutrire una domanda crescente di beni alimentari (e, purtroppo, massicci sprechi), da un lato ha permesso alla popolazione mondiale di quadruplicare in un secolo (passando da 1,9 nel 1920 a 7,7 miliardi nel 2020) , ma con numerose conseguenze negative per l’ambiente. Tra queste spiccano l’aumento dei gas serra a causa della deforestazione, la diminuzione della biodiversità e fenomeni di erosione e impoverimento del suolo, fino alla desertificazione di intere zone. Questi gravi problemi possono essere evitati tramite l’utilizzo di tecniche agronomiche e zootecniche sostenibili e non intensive. Va inoltre ricordato che la maggior parte del suolo coltivabile, oltre il 60% in Europa, è impiegato per la produzione di foraggio per l’allevamento. Urge dunque fare un’inversione di rotta nei processi di produzione e consumo alimentare, per ridurre fino a 6 miliardi di tonnellate ogni anno le emissioni di CO2.

L’attuale sistema alimentare (tutta la filiera, dalla produzione al consumo di cibo) genera circa il 30% di tutte le emissioni di gas serra da parte dell’uomo, e sta portando a ondate di calore che hanno comportato l’innalzamento delle temperature a ben 1,2 C° in più rispetto ai livelli registrati in età preindustriale. Gli esperti lanciano un allarme: superare 1,5 C° porterebbe a sovvertimenti del clima ancora più gravi di quelli attuali. Spronare un cambiamento nei sistemi alimentari nell’ottica di salvare il nostro pianeta e avere una popolazione più sana dovrebbe dunque essere anche un obiettivo a livello politico.

Se un intervento globale a livello politico rimane imperativo al fine di cambiare l’industria alimentare, individualmente possiamo contribuire modificando le nostre abitudini a tavola. La dieta è infatti un elemento importante per salvare il pianeta, come indica il report realizzato dalla Eat-Lancet Commission on Food, Planet, and Health pubblicato su una delle più importanti riviste mediche al mondo, Lancet. Il report è stato realizzato nel 2019 da 37 scienziati provenienti da 16 paesi, con lo scopo di definire su rigorose basi scientifiche alcune diete sane (“Planetary Healthy Diets”) per l’uomo e per il pianeta e sostenibili in termini di produzione e anche di consumo del cibo.

Cosa si intende per dieta planetaria sana? Ad esempio, un consumo limitato o assente di carne, soprattutto rossa, e latticini, una riduzione degli zuccheri e, al contrario, un’attenzione nei confronti di noci, verdura, frutta, cereali integrali, proteine vegetali e grassi non saturi che possono avere, come precedentemente indicato, un impatto positivo sulla salute propria e dell’ambiente. Queste linee guida generali e la flessibilità ed adattabilità delle diete, oltre che il rispetto per la salute e l’ambiente, sono elementi che accomunano la Dieta della Longevità e la Dieta Sana Planetaria delineata da Lancet. Anche l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il comitato scientifico dell’ONU, ha evidenziato la necessità di orientare la dieta verso un regime alimentare a base vegetale tramite il report “Climate Change and Land” (Cambiamento climatico e territorio) diffuso ad agosto 2019.

Si stima invece che, se la popolazione globale facesse scelte alimentari più responsabili, grazie all’implementazione di tecniche avanzate quali l’agricoltura di precisione e un minimo utilizzo di acqua, il sistema di produzione globale sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno calorico dell’intera popolazione, anche in caso di un prospettivo aumento della popolazione mondiale. Questo aspetto è particolarmente rilevante in relazione all’iniquità della redistribuzione delle risorse alimentari tra la popolazione dei paesi ad alto reddito, dove, secondo i dati dell’OMS risalenti al 2016, 2,5 persone su 10 sono sovrappeso (circa 2 miliardi in tutto il mondo, di cui 650 mila obesi), e quella dei paesi poveri, in cui 1 persona su 10 soffre di denutrizione (più di 820 milioni al mondo).

 STILE DI VITA ED AMBIENTE

Dopo l’industria dei combustibili fossili e quella della produzione alimentare, il trasporto motorizzato è tra i fattori maggiormente inquinanti al mondo e, per ridurre i gas serra, è dunque necessario modificare drasticamente i nostri spostamenti. Questo è suggerito da uno studio promosso dall’UE e pubblicato sulla rivista Global Environmental Change (2021). Sostenuto dal progetto PASTA e finanziato dall’UE, lo studio ha analizzato sette città europee: Anversa (Belgio), Barcellona (Spagna), Londra (Regno Unito), Orebro (Svezia), Roma (Italia), Vienna (Austria) e Zurigo (Svizzera). La ricerca dimostra che le emissioni personali di carbonio nelle città possono essere significativamente ridotte fino a un quarto semplicemente sostituendo un viaggio in auto con uno a piedi, in bicicletta o in bicicletta elettrica. In conclusione, mangiare e vivere in maniera sana e sostenibile, camminare e muoversi a piedi sono alcune abitudini che potremmo adottare per offrire il nostro contributo all’ambiente e alla sua salute, oltre che a beneficiare la nostra.

FONTI

SIAMO CIÒ CHE MANGIAMO

di Corinna Montana Lampo

“Siamo ciò che mangiamo” diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach e, prima di lui, Ippocrate enunciava così: “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo“. Era già chiaro come l’alimentazione possa influire sulla nostra salute. Il cibo è il nostro “carburante”, se lo scegliamo “buono” con cura e attenzione in ottica salutista, avremo effetti benefici, viceversa se optiamo per junk food, rischiamo di compromettere la nostra salute. Ecco perché è così importante seguire un’alimentazione sana.

COME IL CIBO INFLUISCE SULLA NOSTRA SALUTE

Ogni alimento ingerito può influenzare la nostra salute e anche il nostro aspetto fisico. Siamo abituati a pensare al cibo connesso a stomaco e digestione, come pure a collegarlo all’intestino. Il cibo, però, influisce anche su altri processi fisiologici. Oltre a influire su metabolismo e peso corporeo, il modo in cui ci nutriamo può avere diversi effetti. Gli alimenti, infatti, possono determinare la qualità del sonno, oppure influire sulla fertilità e addirittura farci ammalare, inducendo l’insorgere di un tumore o altre patologie. In caso di cattiva alimentazione, anche il cervello può pagarne le conseguenze usando, al posto del glucosio, come fonte di energia corpi chetonici (sostanze dannose per l’organismo se la loro produzione è protratta nel tempo).

QUALI SONO I NUTRIENTI ESSENZIALI

 Per potersi nutrire in modo sano e garantirci il benessere, è anche necessario conoscere i principali nutrienti, ovvero le sostanze indispensabili all’organismo che si trovano del cibo. Innanzitutto, distinguiamo tra macronutrienti e micronutrienti: i primi sono assunti in quantità maggiori e i secondi in dosi più contenute. I macronutrienti sono carboidrati, proteine, grassi, fibre e acqua. I micronutrienti sono minerali e vitamine.

I carboidrati (o glucidi) rappresentano la nostra fonte di energia. Si trovano nella maggior parte degli alimenti, sotto forma di carboidrati semplici o complessi. Zucchero, fruttosio e miele sono carboidrati semplici (zuccheri) più facilmente assimilabili; li troviamo nei dolci, nella frutta, nei succhi di frutta e nelle bibite gasate. I carboidrati complessi (amidi) per essere assorbiti devono essere prima scissi in zuccheri semplici; li troviamo in verdure, legumi e cereali integrali.

Le proteine svolgono diverse funzioni. Alcune formano la struttura di cellule e tessuti, tra cui i muscoli. Altre regolano il corretto funzionamento dell’organismo, come precursori di ormoni e neurotrasmettitori. Alcune partecipano al metabolismo energetico, convertite in glucosio come fonte di energia. Altre ancora hanno una funzione di difesa nel sistema immunitario. Sono presenti in prodotti animali e vegetali; vengono scisse nello stomaco per essere assimilate sotto forma di amminoacidi.

I grassi (o lipidi) sono la nostra maggiore fonte di riserva energetica. Inoltre, svolgono anche un ruolo fondamentale in molte funzioni e strutture cellulari. Assimilati dall’organismo sotto forma di trigliceridi. Distinguiamo tra grassi saturi (derivanti da prodotti animali, come il grasso della carne e il burro) e insaturi. Suddivisi ulteriormente in monoinsaturi (come l’acido oleico dell’olio d’oliva) e polinsaturi (dell’olio di mais e nei pesci azzurri). Tra questi ultimi troviamo gli acidi grassi essenziali, omega 3 e 6.

Vitamine e sali minerali (i micronutrienti) sono indispensabili per la nostra salute. Calcio e vitamina D fanno bene alle ossa. Lo zinco è utile per il sistema immunitario. La vitamina C è fondamentale per le cellule. Le vitamine del gruppo B rivestono importanti funzioni. I micronutrienti si trovano principalmente in verdura e frutta di stagione, cereali integrali, frutta a guscio e pesce. Da qui l’importanza di un’alimentazione variegata.

COME ALIMENTARSI IN MODO SANO

La soluzione è scegliere i nutrienti giusti, ovvero quelli che ci garantiscono di rimanere in salute e, proprio per questo, anche di vivere più a lungo. Limitando e/o eliminando l’assunzione di sostanze che, invece, possono farci ammalare, senza però rinunciare al gusto di mangiare. Il cibo deve pur sempre essere un piacere, poiché l’aspetto psicologico riveste un ruolo di primaria importanza nel nostro benessere generale.

FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016

Frei B et al. – Enough Is Enough – Annals of Internal Medicine. 2014 Jun.

FRUTTA E VERDURA: SCUDO PROTETTIVO CONTRO INFARTO E ICTUS

“Una mela al giorno, leva il medico di torno” così cita il detto popolare. Per l’esattezza, sono due mele e tre porzioni di carote, la quantità di frutta e verdura da mangiare ogni giorno per proteggerci da infarto e ictus, nonché salvarci la vita. Lo rivela uno studio presentato a “Nutrition 2019” il congresso dell’American Society of Nutrition, che si svolge ogni anno a Baltimora (USA). L’indagine, portata avanti da un gruppo di ricercatori della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University di Boston, fa parte di un progetto più grande: il “Global Dietary Database” finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation.

 

COME EVITARE QUASI 3 MILIONI DI MORTI ALL’ANNO

Il dato di partenza, riferito al 2010, è che uno scarso consumo di frutta e verdura provoca ogni anno oltre 2,8 milioni di morti nel mondo per malattie cardio-vascolari. Da un lato, un basso apporto di frutta ha determinato oltre 1,8 milioni di decessi, rispettivamente per ictus (1,3 milioni) e patologie coronariche (più di 520mila). Dall’altro, un basso consumo di verdura ha causato 1 milione di morti, tra ictus (200mila) e patologie coronariche (800mila). Nello specifico, mangiare poca frutta impatta più negativamente, quasi il doppio, rispetto allo scarso consumo di verdura. Inoltre, il rischio aumenta negli uomini (che molto probabilmente mangiano meno frutta e verdura rispetto alle donne) e nei giovani adulti (che dovrebbero essere esenti da episodi acuti di carattere vascolare).

 

Per arrivare a questi risultati, i ricercatori hanno quantificato il consumo medio nazionale di frutta e verdura in 113 Paesi (che rappresentano circa l’82% della popolazione mondiale), sulla base di indagini riferite alla dieta nei vari Stati partecipanti allo studio. Le informazioni così raccolte sono state incrociate con i dati clinici sul rischio cardiovascolare collegato a un basso consumo di frutta e verdura, nonché sulle cause di morte in ogni Paese. In tal modo, si è arrivati a stimare che mangiare poca frutta determina una morte su 7, mentre uno scarso consumo di verdura porta a un decesso su 12.

 

DUE MELE AL GIORNO E TRE CIOTOLE DI CAROTE ALLUNGANO LA VITA

Sulla base di studi clinici legati al rischio cardiovascolare e a Linee Guida Dietetiche, i ricercatori hanno definito l’assunzione ottimale di frutta nell’ordine di 300 grammi al giorno, equivalenti a circa 2 mele piccole, e di verdura (compresi i legumi) di 400 grammi al giorno, che corrisponde a circa 12 carote crude (3 ciotole). Frutta, ortaggi e legumi sono fonti di elementi (potassio, magnesio, antiossidanti, fenoli e fibre) che contribuiscono a tenere sotto controllo i valori di pressione sanguigna e colesterolo. Inoltre, aiutano a migliorare qualità e benessere del microbiota intestinale. Oltre che, in generale, chi segue una dieta sana ricca di frutta e verdura ha meno probabilità di essere in sovrappeso oppure obeso, condizioni anch’esse legate all’aumento del rischio cardiovascolare. In ogni caso, gli esperti raccomandano di consumare ogni giorno la giusta quantità di frutta e legumi, nell’ottica di migliorare la salute degli individui a livello globale.

 

 

>>> Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

 

 

FONTI

PROPRIETÀ E FONTI DI FERRO

Il ferro è un minerale essenziale che svolge importanti funzioni. Il ferro è coinvolto nella sintesi dell’emoglobina, proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue. Il ferro è necessario alla formazione di altre due proteine: la mioglobina, che costituisce la struttura dei muscoli, e il collagene, con una funzione strutturale nei tessuti. Il ferro è sempre legato a specifiche proteine: emoglobina nel sangue, mioglobina nei muscoli, emosiderina nel fegato, ferritina nell’intestino etc.

 

L’IMPORTANZA DEL FERRO PER IL NOSTRO ORGANISMO

Il ferro partecipa ai processi di respirazione cellulare e costituisce la riserva di ossigeno per i muscoli, garantendone efficienza e prestazione anche sotto sforzo. L’apporto di ferro, infatti, ci fornisce energia, assicurandoci la forza necessaria a svolgere attività fisica e sport. Inoltre, il ferro è coinvolto anche nel metabolismo degli acidi nucleici e nell’attività di alcuni importanti enzimi, come gruppo prostetico.

 

Un’altra importante funzione del ferro è collegata alla sintesi di neurotrasmettitori, tra cui serotonina, dopamina e noradrenalina. Oltre ai muscoli, dunque, anche il nostro sistema nervoso ha bisogno di ferro, il cui apporto aiuta la concentrazione e favorisce l’apprendimento, oltre a essere fondamentale per garantirci un buon tono dell’umore. Infine, Il ferro ci protegge contro le malattie, poiché fortifica il sistema immunitario, come pure ci sostiene nel contrastare lo stress ossidativo e l’invecchiamento cellulare.

 

LE DIVERSE FORME DI FERRO NEL CORPO

Il ferro nel nostro organismo è presente in due forme: ferro emico (EME), legato all’emoglobina nel sangue oppure alla mioglobina nei muscoli; ferro non-emico (non-EME), legato a proteine di deposito come la ferritina nell’intestino. Il ferro emico è la forma più biodisponibile, ovvero risulta più facilmente assimilabile dal nostro organismo. Il ferro non-emico, invece, è meno facile da metabolizzare.

 

Il ferro emico costituisce il 75% del ferro presente nel corpo umano, legato alla emoglobina nel sangue per il 65% e alla mioglobina nei muscoli per il 10%. Il ferro non-emico, invece, ammonta al 20-25% ed è presente con funzione di deposito, in fegato, milza e midollo osseo, legato alla ferritina ed alla emosiderina. Il ferro, poi, è presente in piccole quantità anche nella transferrina e in alcuni enzimi intracellulari.

 

COSA SUCCEDE IN CASO DI CARENZA DI FERRO

Se il ferro non è assunto in quantità sufficiente, la sua mancanza può causare problematiche di varia entità. Stanchezza cronica, sonnolenza, debolezza fisica, affaticamento muscolare, svogliatezza mentale, difficoltà di concentrazione, irritabilità e nervosismo sono sintomi legati a una carenza di ferro moderata. Per poi passare a segnali come pallore, fiato corto, insonnia, palpitazioni, mal di testa, capogiri, dolori mestruali, disturbi gastro-intestinali e sistema immunitario indebolito; fino ad anemia nei casi più gravi.

 

La quantità giornaliera di ferro varia in base a età e sesso: 10 mg per gli uomini e 18 mg per le donne (30 mg in gravidanza e 10 mg in menopausa), 12 mg per gli adolescenti secondo i Livelli di Assunzione Giornalieri Raccomandati di Nutrienti (LARN) per la popolazione italiana. Un deficit di ferro può essere dovuto a diverse cause: alimentazione sregolata, problematiche di assorbimento, perdite di sangue, anemia, disfunzioni endocrine o malattie croniche.

 

QUALI SONO I CIBI CHE CONTENGONO FERRO

Il ferro viene assimilato attraverso il cibo. La fonte più ricca di ferro EME, ovvero la forma biodisponibile, è la carne (come residuo della mioglobina nei muscoli). Il ferro è presente anche in altri alimenti di origine animale, come pesce azzurro (tonno, salmone, acciughe e sardine), molluschi (ostriche, cozze e vongole), crostacei (gamberi, gamberetti, aragoste etc.) e nel tuorlo d’uovo.

 

In ferro non-EME è presente in tutti gli alimenti, anche in quelli vegetali. Sono particolarmente ricchi di ferro verdure a foglia verde (spinaci, broccoli, rucola, prezzemolo etc.), legumi (fagioli, lenticchie, ceci e piselli), frutta secca (mandorle, anacardi, pistacchi, arachidi, sesamo e girasole), frutta essiccata (albicocche, uvetta, fichi e datteri). Anche i cereali contengono ferro, come avena, grano saraceno, miglio, segale e riso meglio se integrali. Un altro alimento ricco di ferro è il cacao amaro. Per favorirne l’assorbimento il consiglio dei nutrizionisti è di abbinarlo alla vitamina C, per esempio succo di limone.

 

 

FONTI