TUMORE AL SENO: COSA DICONO I NUOVI RISULTATI DEGLI STUDI CLINICI SU DIETA MIMA DIGIUNO E TERAPIA ORMONALE

TUMORE AL SENO: COSA DICONO I NUOVI RISULTATI DEGLI STUDI CLINICI SU DIETA MIMA DIGIUNO E TERAPIA ORMONALE
Continua la pubblicazione di ricerche scientifiche che studiano l’effetto dell’alimentazione come supporto alle terapie farmacologiche standard. L’ultimo è stato appena pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Nature1, ed è stato coordinato dal Professor Valter Longo dell’Istituto FIRC di oncologia molecolare di Milano (IFOM) e dal Professor Alessio Nencioni, del Dipartimento di medicina interna del Policlinico San Martino dell’Università di Genova,
È stato già dimostrato2 ad esempio, sia nei topi che nell’uomo, che un regime dietetico ipocalorico che simula gli effetti del digiuno, è in grado di ridurre alcuni marcatori che favoriscono la crescita di cellule tumorali, come ad esempio l’insulina, il fattore di crescita insulino-simile (IGF1) e la leptina, l’ormone che regola la sensazione di sazietà.
Nel nuovo studio, gli autori testano l’abbinamento di una forte restrizione di calorie, proteine e zuccheri, sottoforma di Dieta Mima-Digiuno, insieme alla terapia ormonale in 36 donne come tumore al seno positivo agli ormoni e fornisce nuove possibilità per queste pazienti.

I RISULTATI NELLE PAZIENTI
Per controllare il modo in cui le cellule tumorali crescono e si dividono, è molto frequente trattare il carcinoma mammario ormone-sensibile con una combinazione di due farmaci: Fulvestrant e Palbociclib.
Dopo aver dimostrato che nei topi la combinazione di questi due farmaci, insieme a un regime che simula il digiuno, promuove la regressione del tumore per 160 giorni, i ricercatori hanno voluto verificare tale protocollo terapeutico anche in 36 partecipanti con tumore alla mammella ormone-sensibile, già arruolate in due studi clinici in corso a Genova e Milano, aggiungendolo alla terapia standard.
Il primo obiettivo è stato quello di testare la fattibilità e la sicurezza del protocollo alimentare, visto che la dieta, seppur limitata nel tempo, è molto restrittiva.
Nel primo studio, 24 partecipanti sono state trattate con un programma alimentare che simula il digiuno di 5 giorni e sono state in grado di completare, in media, 1 ciclo al mese per 7 mesi (con persone che ne hanno seguito da 1 a 14 cicli).
Nel secondo studio, 12 partecipanti hanno seguito una dieta simile, fortemente ipocalorica e povera di proteine ogni 3 o 4 settimane per una media di 5,5 cicli (con persone che ne hanno seguito da 2 a 8 cicli). Contrariamente a quanto precedentemente pubblicato su questo e altri regimi di digiuno intermittente, le pazienti hanno mantenuto, nonché migliorato lo stato di composizione corporea (peso, massa grassa, massa magra) e l’angolo di fase, un parametro misurabile attraverso la bioimpedenziometria, che indica lo stato nutrizionale complessivo del paziente, senza particolari effetti collaterali, se non mal di testa e debolezza. Gli effetti positivi inoltre, sulla base del citato studio pubblicato, sembrano durare nel tempo.

QUALE MECCANISMO CELLULARE ALLA BASE
Per investigare il meccanismo cellulare capace di esercitare tale effetto nelle pazienti, i ricercatori hanno effettuato degli esperimenti sui topi e sulle cellule. Anche nei topi, una Dieta Mima-Digiuno della durata di 48 ore ha permesso di migliorare l’efficacia della terapia ormonale, dimostrando che la combinazione di questi trattamenti induce l’arresto del ciclo cellulare con conseguente interruzione della proliferazione delle cellule cancerose. Una aggiunta di ormoni come insulina, IGF1 e leptina inoltre, inverte tale arresto, suggerendo che il meccanismo sia ormone-mediato.

COSA C’È ANCORA DA FARE?
I dati di questa importante ricerca sono incoraggianti e preannunciano un’era in cui la nutrizione potrà essere usata come un trattamento di precisione in oncologia. Tuttavia, siamo solo all’inizio e ulteriori studi clinici su larga scala consentirebbero di investigare ulteriormente ed eventualmente confermare anche nelle persone i risultati meccanicistici ottenuti in laboratorio.

L’IMPORTANZA DELL’OBESITÀ
Una lettura interessante che emerge da questo studio è la stretta connessione tra tumore al seno e obesità.
Il microambiente che permette alla ghiandola mammaria la secrezione di latte durante l’allattamento infatti contiene, insieme a tante altre tipologie cellulari, gli adipociti, le cellule del grasso. Un aumento di grasso in eccesso coinvolge e fa aumentare di volume anche gli adipociti del seno, portando a un conseguente aumento di segnali ormonali (come per esempio la leptina), ma anche infiammatori e angiogenici indispensabili alla crescita e all’invasione delle cellule tumorali.
Non è un caso quindi che l’obesità rappresenti un fattore di rischio che può contribuire allo sviluppo del cancro al seno e a peggiora l’esito della malattia. Dati scientifici3,4 stimano che una eccessiva adiposità durante l’età adulta aumenti il rischio di cancro al seno fino al 20%. Inoltre, le donne sovrappeso al momento della diagnosi di carcinoma mammario o coloro che aumentano di peso dopo tale diagnosi, hanno maggior probabilità di recidive e mortalità5.
Diminuire il grasso in eccesso sembra quindi essere benefico per le donne con tumore e dal momento che l’obesità è un fattore di rischio modificabile, è possibile intervenire sulla propria alimentazione e sul proprio stile di vita per trattare e prevenire questa e altre patologie.

FONTI:
1. Caffa I. et al. Nature (2020)
2. Brandhorst, S. et al. Cell Metab. 22, 86–99 (2015)
3. Eliassen, A. H., Colditz, G. A., Rosner, B., Willett, W. C. & Hankinson, S. E. J. Am. Med. Assoc. 296, 193–201 (2006)
4. Tamimi, R. M. et al. Am. J. Epidemiol. 184, 884–893 (2016)
5. Kroenke, C. H., Chen, W. Y., Rosner, B. & Holmes, M. D. J. Clin. Oncol. 23, 1370–1378 (2005)
6. https://www.fondazionevalterlongo.org/missione/


Romina Inès Cervigni
Biologa Nutrizionista, Responsabile Scientifico della Fondazione Valter Longo Onlus.
Coordina il team di Nutrizionisti specializzati nella Dieta della Longevità presso il Punto Longevità di Milano dove sono accolti i pazienti, piccini e adulti, in un ambiente intimo e confortevole. Gli orari di apertura sono dal lunedì al venerdì dalle 8:00 alle 19:00 ed è possibile fissare un appuntamento contattandoci telefonicamente allo 02.25.13. 83.07 oppure compilando l’apposito form sul sito: https://www.fondazionevalterlongo.org/assistenza-nutrizionale/

ATTIVITÀ FISICA DA ADULTI: NON È MAI TROPPO TARDI

Buone notizie per chi non ha mai praticato sport da ragazzino e vuole iniziare in età avanzata. Secondo una nuova ricerca scientifica, condotta presso il National Cancer Institute di Bethesda (Maryland – USA), si possono avere notevoli benefici per la salute se si comincia a praticare attività fisica anche da adulti.

MUOVERSI FA BENE A OGNI ETÀ

Lo dimostrano i risultati del nuovo studio americano pubblicato su Jama Network Open (marzo 2019). Praticare sport o svolgere attività fisica fa bene alla salute, indipendentemente dall’età in cui si comincia, che sia fin dall’adolescenza oppure che ci si approcci al movimento in età adulta. Gli effetti benefici sono importanti: riduzione del rischio di mortalità legato a malattie cardio-vascolari e tumori, come pure diminuzione delle infezioni in generale. In questo studio, i ricercatori americani hanno analizzato i dati di 315mila adulti, di età compresa tra 50 e 70 anni. L’indagine ha riguardato le abitudini di vita e le ore settimanali di attività fisica svolte dai partecipanti al sondaggio, nell’arco dei diversi periodi della loro vita: da adolescenti (15-18 anni), durante la gioventù (35-39 anni) e in età adulta (40-61 anni).

Dall’analisi dei dati emerge che gli individui più attivi (ovvero coloro che hanno svolto attività fisica in modo costante, durante ogni periodo della loro vita preso in considerazione in questo studio) hanno presentato un minore rischio di mortalità per ogni causa (malattie cardio-vascolari e tumori), rispetto agli individui inattivi. In particolare, chi ha praticato sport o attività fisica fin dall’adolescenza ha presentato un rischio di morte inferiore, compreso tra il 29 e il 36%. Il dato rilevante è che i partecipanti attivi solo in età adulta (40-60 anni), ma sedentari durante l’adolescenza, hanno presentato anch’essi una riduzione del rischio di mortalità più basso di 32-35% rispetto al gruppo inattivo in ogni fase della vita.

EVIDENZE SCIENTIFICHE DEI BENEFICI DI MUOVERSI

Gli studi precedenti avevano analizzato i giovamenti derivanti dall’attività fisica svolta per breve tempo solo durante l’età adulta. Effetti benefici per la prevenzione (primaria e secondaria) di malattie cardio-vascolari, patologie respiratorie, diabete, tumori, problematiche neurologiche e psichiatriche. Questo è il primo studio che ha analizzato come il movimento possa essere associato al rischio di morte, nelle diverse fasi della vita. Dalla ricerca svolta presso il National Cancer Institute di Bethesda, infatti, emerge che iniziare a praticare sport o attività fisica da adulti protegge dal rischio di tumori e malattie cardio-vascolari, in modo analogo all’aver cominciato fin da giovani. Allora, sotto con gli allenamenti!

LE INDICAZIONI DA SEGUIRE PER GLI OVER 60

Quali solo le attività consigliate e la quantità di attività fisica da praticare per gli over 60? Ecco le raccomandazioni dell’American Heart Association per prevenire le malattie cardio-vascolari: 30 minuti di attività aerobica moderata, 5 giorni alla settimana, per un totale di 150 ore; 25 minuti di attività aerobica vigorosa, 3 giorni alla settimana, per un totale di 75 minuti; una combinazione di attività aerobica di intensità moderata e vigorosa; attività di rafforzamento muscolare, da moderato a intenso, almeno 2 giorni alla settimana. In particolare, per abbassare pressione sanguigna e colesterolo, le indicazioni sono di svolgere circa 40 minuti di attività aerobica, da moderata a intensa, 3-4 volte alla settimana.

 Tra le attività fisiche più adatte ci sono: camminata veloce (meglio se all’aria aperta), nuoto, bicicletta, ginnastica posturale e yoga. Anche la corsa, senza esagerare, può andare bene, oltre che qualche esercizio in palestra per rinforzare i muscoli per migliorare la resistenza e lo stretching per mantenere la flessibilità.

FONTI

  1. Pedro F. Saint-Maurice et Al. – Association of Leisure-Time Physical Activity Across the Adult Life Course With All-Cause and Cause-Specific Mortality – March 8, 2019 – JAM
  2. American Heart Association – Recommendations for Physical Activity in Adults and Kids

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
Fondazione Valter Longo Onlus ha l’obiettivo di fare divulgazione scientifica sensibilizzando la comunità scientifica e non, ad uno stile di vita salutare ed una corretta alimentazione tramite la produzione di articoli scientifici esplicativi, contenuti testuali, infografiche e multimediali, e la diffusione delle attività cliniche, scientifiche, divulgative ed educative della Fondazione e del suo team di professionisti. Percorsi alimentari, scoperte scientifiche, studi clinici, trattamenti e tecnologie, eventi di sensibilizzazione nazionale e internazionale, iniziative di prevenzione nonché ricette della Longevità sono solo alcuni dei temi affrontati in articoli e interviste di approfondimento pubblicati quotidianamente e scritti in collaborazione con gli specialisti della Fondazione. Attivissima anche sui social, la redazione di Fondazione Valter Longo Onlus propone inoltre una newsletter mensile inviata a tutti gli iscritti, per rimanere sempre aggiornati sulle più interessanti novità legate al mondo della Salute, Nutrizione e Longevità.

Partecipano alla redazione:
Romina Inés Cervigni
Alessandra Fedato
Maria Liliana Ciraulo
Corinna Montana Lampo
Cristina Villa

L’ORMONE DELLO SPORT IRISINA CONTRO L’ALZHEIMER

Il morbo di Alzheimer è un disturbo neuro-cognitivo che provoca un lento e progressivo declino di alcune specifiche capacità intellettive. La prima manifestazione è la perdita di memoria a breve termine, dopodiché insorgono altri deficit cognitivi quali ragionamento deteriorato, difficoltà nella gestione di attività complesse, scarsa capacità di giudizio, disfunzione del linguaggio e incapacità di riconoscere oggetti e volti comuni.

Il mondo scientifico è alla continua ricerca di soluzioni per attenuarne gli effetti e trovare una cura definitiva. Numerosi sono gli studi clinici ancora in corso. Recentemente, un gruppo di scienziati diretto da Fernanda de Felice, ricercatrice dell’Università Federale di Rio de Janeiro, ha scoperto che l’ormone irisina potrebbe svolgere un’azione protettiva sul cervello dagli effetti dell’Alzheimer e della demenza in generale.

IRISINA CONTRO I DEFICIT COGNITIVI
L’irisina viene prodotta dal tessuto muscolare umano durante l’attività sportiva. Tra gli effetti di questo ormone c’è la conversione delle cellule adipose bianche (grasso che tende ad accumularsi a livello addominale) in cellule adipose brune (riserve lipidiche più facilmente utilizzabili come fonte di energia). Questo processo fisiologico permetterebbe, così, di smaltire l’accumulo di grasso corporeo, aiutando anche a combattere l’obesità e a prevenire il diabete.

Il lavoro svolto dal team guidato da Fernanda de Felice, invece, ha verificato come l’irisina svolga un’azione di contrasto alla degenerazione delle cellule nervose, favorendone l’integrità. Per arrivare a queste considerazioni, i ricercatori hanno svolto le indagini in laboratorio su modelli animali (topi). Gli scienziati, dopo avere osservato i benefici che l’irisina determina su memoria e sinapsi, nonostante iniezioni di beta-amilode (molecola il cui accumulo è tra le cause dell’Alzheimer), hanno bloccato l’ormone in modo farmacologico per analizzarne gli effetti. Si è potuto vedere come la memoria dei topolini regredisse in modo analogo ai topi sedentari, manifestando deficit cognitivi e di memoria simili a quelli prodotti dall’Alzheimer. Nel proseguo dell’esperimento, l’irisina è stata somministrata ai topi e si è visto come i deficit cognitivi scomparivano.

Ecco perché questo ormone potrebbe rappresentare un antidoto contro la demenza senile, sia come prevenzione sia nel fermare un processo di declino cognitivo già in atto. I risultati ottenuti, infatti, aprono le porte a possibili studi sulla sintesi di molecole che, interagendo con il ciclo dell’irisina, potranno agire in modo diretto con le cellule del tessuto celebrale, riducendo gli effetti di Alzheimer e altre forme di demenza.

FARE SPORT RINGIOVANISCE IL CERVELLO
Il lavoro del team di Fernanda de Felice va ad avvalorare la ricerca, pubblicata su Neurology, svolta da un gruppo di ricercatori del Duke University Medical Center di Durham (Carolina del Nord), coordinati da James Blumentha. Secondo questo altro studio, un esercizio fisico costante aiuta a mantenere giovane il cervello. In particolare, la ricerca ha evidenziato come praticare tre volte alla settimana attività aerobica (come camminata veloce, corsa, nuoto o bicicletta), può ringiovanire il cervello di circa 9 anni.

A questo studio hanno preso parte 160 persone di età media 65 anni, tutte con esigui problemi di memoria, capacità decisionale e organizzazione mentale (sintomi classici di incipit di declino cognitivo e/o Alzheimer allo stadio iniziale), che di base conducevano una vita sedentaria. Gli anziani, poi, sono stati divisi in vari gruppi e, ad alcuni, è stato proposto di svolgere attività fisica. In sintesi: i gruppi che hanno praticato sport 3 volte la settimana (45 minuti di attività fisica, suddivisa in 10 minuti di riscaldamento e 35 di tapis roulant) hanno mostrato un netto miglioramento in funzioni cognitive e capacità esecutive, ovvero facoltà di decidere, riflettere, organizzare e portare a termine un compito. I ricercatori, inoltre, hanno determinato che tale miglioramento è comparabile a un ringiovanimento celebrale di 9 anni. Saranno necessari ulteriori studi per comprendere meglio come attività fisica, irisina e capacità cognitive sono collegate.

FONTI

  1. Fernanda de Felice et Al. – Exercise-linked FNDC5/irisin rescues synaptic plasticity and memory defects in Alzheimer’s models – Nature Medicine; January 2019
  2. James A. Blumenthal et Al. – Lifestyle and neurocognition in older adults with cognitive impairments. A randomized trial – Neurology, January 15, 2019

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COME ALIMENTARSI PRIMA E DOPO L’ATTIVITÀ FISICA

Un’alimentazione sana e bilanciata e un’attività fisica costante e quotidiana sono tra i fondamenti per vivere in salute a lungo, nonché contribuiscono al benessere psico-fisico di ogni individuo. Il corpo ha bisogno di energia, per svolgere le attività quotidiane come nella pratica sportiva e/o fisica. Quali sono gli alimenti ideali da consumare prima e dopo un allenamento, per far sì che il movimento ci porti benefici?

COSA MANGIARE PRIMA DELL’ALLENAMENTO
In primis, è fondamentale nutrirsi adeguatamente prima di fare attività fisica. Rimanere a digiuno per ore e, poi, cimentarsi in allenamenti improvvisati può causare una crisi ipoglicemica, con attacchi di fame e rischio di svenimento, nonché determinare un processo di catabolismo muscolare che mette in circolo tossine. Il cibo assunto prima dello sport e di qualsiasi altra attività fisica (dalla “semplice” camminata a un lavoro che richiede forza fisica) è di primaria importanza, poiché rappresenta il carburante da cui il corpo trae energia.

In generale, i nutrizionisti consigliano un pasto pre-allenamento semplice e leggero (per evitare di affaticare l’organismo con una digestione complessa e prolungata) con un adeguato quantitativo di nutrienti, per assicurare il giusto apporto energetico e nutrizionale. Se si pratica sport al mattino, per esempio, il consiglio è di consumare uno snack veloce prima dell’attività fisica, per poi fare una colazione ricca e completa dopo. Il pranzo prima di un allenamento, dovrebbe essere consumato almeno 3 ore prima (per assicurare che non interagisca con il processo digestivo) ed essere a base di carboidrati (es. cereali integrali, a basso indice glicemico, con verdure), con poche proteine e grassi. Per garantirci sia forza sia resistenza. Se ci si allena la sera, l’indicazione degli esperti è di mangiare uno spuntino (una banana o qualche noce oppure una barretta raw – ovvero costituita da alimenti crudi che mantengono integre tutte le proprietà nutritive – a base di frutta secca e semi oleosi) circa 2 ore prima dell’attività sportiva.

COSA MANGIARE DOPO AVERE PRATICATO SPORT
Innanzitutto, mai saltare un pasto dopo lo sforzo fisico, che deve essere sempre ben bilanciato nei nutrienti. Per prima cosa, il consiglio dei nutrizionisti è di assumere circa 30 grammi di proteine nell’arco di 1-2 ore dopo ogni allenamento. L’apporto proteico, infatti, è fondamentale per favorire il recupero muscolare, nell’ottica di rigenerare le fibre dei muscoli dopo lo sforzo fisico. Nella dieta di uno sportivo, infatti, le proteine non devono mai mancare, prediligendo pesce azzurro, legumi, cereali integrali e latticini, senza esagerare. Anche i grassi sono importanti per chi pratica attività fisica. Optare per grassi “buoni” derivanti da olii vegetali, frutta secca e semi oleosi. Dopo lo sport, il corpo è impegnato a smaltire le tossine e deve reintegrare le riserve energetiche, da un lato, e ripristinare il tessuto muscolare danneggiato, dall’altro.

Nei 15-30 minuti post-allenamento, i muscoli sono in grado di assorbire velocemente i nutrienti per sintetizzare nuovo tessuto contrattile e riparare quello lesionato dallo sforzo fisico. Questo arco temporale è definito “finestra anabolica” (che si riduce via via entro 2 ore), per cui alcuni nutrizionisti consigliano di assumere subito uno snack proteico per rigenerare i muscoli. Questo vale soprattutto per chi pratica sport a livello medio-alto. Per chi, invece, vuole semplicemente dimagrire e/o mantenere il peso forma, è indicato sfruttare l’aumento del metabolismo basale e alimentarsi 1 o 2 ore dopo l’allenamento. In ogni caso, è bene rivolgersi a un nutrizionista per valutare la propria situazione e scegliere una dieta ad hoc.
L’IMPORTANZA DELL’IDRATAZIONE
Altra questione fondamentale è l’idratazione: reintegrare i liquidi persi, quanto fare la scorta prima, oltre che durante l’attività fisica, soprattutto in giornate calde e assolate. Il rischio cui si va incontro è la disidratazione che, oltre a diminuire la prestazione sportiva, è dannosa per l’organismo in generale. Il consiglio è di bere acqua prima dell’allenamento, per idratare i tessuti in vista dell’esercizio fisico. Come pure assumere acqua durante l’attività sportiva e, soprattutto, reintegrare i liquidi persi a fine allenamento. Se necessario, può essere utile consumare acqua ricca in sali minerali e/o integratori salini (senza esagerare).

FONTI

  1. Arem H. et Al., “Leisure time physical activity and mortality: a detailed pooled analysis of the dose-response relationship”, JAMA Intern Med. 2015 Jun;175(6):959-67. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.0533
  2. Paddon-Jones D, Rasmussen BB. “Dietary protein recommendations and the prevention of sarcopenia” Curr Opin Clin Nutr Metab Care – 2009 Jan;12(1):86-90. doi: 10.1097/MCO.0b013e32831cef8b
  3. Kumar V. et Al. “Age-related differences in the dose-response relationship of muscle protein synthesis to resistance exercise in young and old men” – J Physiol – 2009 Jan 15;587(1):211-7. doi: 10.1113/jphysiol.2008.164483. Epub 2008 Nov 10.

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NUOVO STUDIO CLINICO SULL’ ABBINAMENTO TRA DIETA MIMA DIGIUNO E CHEMIOTERAPIA

Una nuova ricerca abbina la dieta Mima-digiuno (DMD) alla chemioterapia adiuvante nelle pazienti con cancro alla mammella.
Lo studio pubblicato su Nature Communications è stato condotto in diversi centri ospedalieri in Olanda in collaborazione con il gruppo di ricerca del Professor Valter Longo.
I risultati di questo studio si vanno ad aggiungere a quelli pre-clinici e suggeriscono, per la prima volta nei pazienti, che la DMD è sicura ed efficace in abbinamento alla chemioterapia nelle donne con carcinoma mammario in fase iniziale.
Gli studi sui topi hanno dimostrato che cicli di DMD, in abbinamento a una vasta gamma di terapie anti-cancro, possono proteggere dagli effetti collaterali della chemioterapia, inibire la progressione di un’ampia varietà di tumori e aumentare l’efficacia terapeutica della chemioterapia stessa.
Esistono inoltre anche alcuni piccoli studi clinici che hanno già valutato il potenziale del digiuno per migliorare il trattamento del cancro, e che si sono concentrati principalmente sulla fattibilità da parte dei pazienti e sulla tossicità del trattamento.
Procedendo in ordine temporale, il primo studio pubblicato riguarda la raccolta da parte del Professor Longo e suoi collaboratori di dati su dieci persone, che hanno scelto volontariamente di digiunare in concomitanza della chemioterapia. I risultati suggeriscono che il digiuno in combinazione con la chemioterapia è fattibile, sicuro e ha il potenziale di diminuire gli effetti collaterali causati dalle chemioterapie. (1)

Il secondo studio, ad opera dell’Università di Leida, ha esaminato la fattibilità del digiuno a breve termine e i suoi effetti sulla tolleranza della chemioterapia in un gruppo omogeneo di pazienti con carcinoma ovarico o mammario. Il digiuno durante la chemioterapia è stato ben tollerato ed ha mostrato una riduzione degli effetti collaterali. (2)

Uno studio clinico pubblicato dal Professor Longo nel 2016 ha visto 18 pazienti digiunare a sola acqua per 24, 48 o 72 ore prima della chemioterapia a base di platino, ed è stato condotto per valutarne la sicurezza e la fattibilità nei pazienti oncologici.
Sono visibili i potenziali effetti protettivi del digiuno di 72 ore rispetto a quello di 24 ore con cancro alla mammella, alle ovaie, all’utero e ai polmoni. (3)

L’ultimo articolo, precedente a questo, ha studiato la fattibilità e gli effetti sulla qualità della vita e il benessere del digiuno a breve termine durante la chemioterapia in pazienti con cancro di tipo ginecologico (ovaio e mammella). Il digiuno a breve termine durante la chemioterapia è ben tollerato e sembra migliorare la qualità della vita e l’affaticamento durante la terapia stessa. (4)

Cosa dice di nuovo questo studio

Per questo studio sono state reclutate 131 pazienti con tumore alla mammella allo stadio II o III (HER2 negativo). A 65 di queste è stato chiesto di adottare una DMD, iniziando 3 giorni prima della chemioterapia adiuvante. Le restanti pazienti hanno continuato con la loro alimentazione abituale.
Complessivamente questi dati sono in accordo con i precedenti studi, dimostrando che la DMD è sicura ed efficace in aggiunta alla chemioterapia, almeno nei pazienti con un indice di massa corporea normale al momento dell’arruolamento.
Inoltre, le pazienti che hanno seguito la DMD per più cicli di chemioterapia, hanno avuto miglioramenti sulla risposta radiologica e maggior probabilità di diminuire le cellule tumorali del 90-100%. Nelle pazienti che hanno seguito più DMD si riducono significativamente i danni indotti dalla chemioterapia al DNA dei linfociti T. Questo effetto potrebbe essere letto come un “dose-risposta”, ossia all’aumentare dei numeri di cicli di DMD in concomitanza della terapia, aumentano i benefici.
Facendo un bilancio totale, si può dire che il digiuno si è dimostrato sicuro in concomitanza delle cure chemioterapiche e ha contribuito a diminuire gli effetti avversi delle cure stesse. Tuttavia, sono necessari nuovi e più approfonditi studi per descrivere in dettaglio l’effetto della DMD in questo e in altri tipi di tumori.
Attualmente, ci sono diversi studi clinici in corso per verificare la sicurezza e gli effetti della DMD, in particolare sugli effetti collaterali delle cure anti-cancro e il potenziamento delle terapie standard. Al momento non sono ancora disponibili maggiori informazioni e bisognerà attendere la conclusione di questi studi.

FONTI

  1. Safdie, F. M., Dorff, T., Quinn, D., Fontana, L., Wei, M., Lee, C., … Longo, V. D. (2009). Fasting and cancer treatment in humans: A case series report. Aging (Albany NY), 1(12), 988–1007.
  2. De Groot, S., Vreeswijk, M. P., Welters, M. J., Gravesteijn, G., Boei, J. J., Jochems, A., Kroep, J. R. (2015). The effects of short-term fasting on tolerance to (neo) adjuvant chemotherapy in HER2-negative breast cancer patients: a randomized pilot study. BMC Cancer, 15, 652.
  3. Dorff, T. B., Groshen, S., Garcia, A., Shah, M., Tsao-Wei, D., Pham, H., … Quinn, D. I. (2016). Safety and feasibility of fasting in combination with platinum-based chemotherapy. BMC Cancer, 16, 360.
  4. Bauersfeld SP, Kessler CS, Wischnewsky M, Jaensch A, Steckhan N, Stange R, Kunz B, Brückner B, Sehouli J, Michalsen A. The effects of short-term fasting on quality of life and tolerance to chemotherapy in patients with breast and ovarian cancer: a randomized cross-over pilot study. BMC Cancer. 2018 Apr 27;18(1):476. doi: 10.1186/s12885-018-4353-2.
  5. de Groot S, Lugtenberg RT, Cohen D, et al. Fasting mimicking diet as an adjunct to neoadjuvant chemotherapy for breast cancer in the multicentre randomized phase 2 DIRECT trial. Nat Commun. 2020;11(1):3083. Published 2020 Jun 23. doi:10.1038/s41467-020-16138-3

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
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ESERCIZIO FISICO ELISIR DI LUNGA VITA

Qual è il segreto per vivere a lungo? Il fattore più incisivo è quello genetico. Ereditiamo la longevità dai nostri avi, attraverso geni modificati che proteggono contro il rischio di malattie legate all’ invecchiamento. È abbastanza comune trovare nello stesso albero genealogico persone con un’età media molto alta. L’ereditarietà aiuta, ma non basta. Se vogliamo garantirci una vita longeva e in salute, dobbiamo curare il nostro stile di vita e seguire un’alimentazione sana ed equilibrata. La Dieta Mediterranea è un ottimo modello alimentare. Se però vogliamo avere una marcia in più nel ritardare il processo di invecchiamento e, così, diminuire anche il rischio di malattie, è necessario aggiungere un altro fondamentale aspetto al nostro stile di vita. Praticare attività fisica in modo regolare e costante tutti i giorni, nell’ arco della nostra vita.

QUALCHE ESEMPIO VIRTUOSO DI LONGEVITÀ

Diversi ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sull’ analisi di popolazioni longeve, caratterizzate dalla presenza di individui centenari. Il comune denominatore, oltre a un regime alimentare sano, è sempre l’attività fisica costante, anche fino a tarda età. Rinomato è il caso dei pescatori dell’isola di Okinawa, in Giappone, che non smettono mai di lavorare e praticano Tai Chi. A Loma Linda, in California, la popolazione cammina veloce e molto, oltre ad allenarsi in palestra. In Costa Rica, poi, sono abituati a lavorare fisicamente per tutta la vita. Esempi più vicini a noi, invece, sono i pastori sardi che percorrono a piedi almeno 8 Km al giorno, facendo sali e scendi attraverso le montagne nell’ entroterra. Oppure in Calabria, dove ci sono alcuni ultracentenari che si sono recati a piedi negli uliveti a lavorare fino da anziani.

L’ESERCIZIO FISICO OTTIMALE PER VIVERE A LUNGO

Per vivere fino a 100 anni, il segreto è scegliere l’attività fisica preferita. Un’attività che preveda il movimento di tutto il corpo per almeno 5-10 ore la settimana, ma senza eccedere. In modo tale da fornire i giusti stimoli all’ organismo per ottimizzarne le funzioni fisiologiche, nonché favorire il mantenimento della muscolatura. Quali sono dunque le attività più adatte per mantenerci in salute e a lungo? Se pensiamo che i nostri antenati, fin dalla preistoria, si muovevano camminando di buon passo attraverso territori vasti, possiamo comprendere che l’attività fisica ad hoc per il corpo umano è per eccellenza la camminata veloce. Il consiglio è praticare, per almeno 1 ora al giorno, una marcia costante e regolare, a passo sostenuto. Gli escamotage sono vari. Recarsi sul posto di lavoro a piedi, scendendo una o due fermate prima, andare a piedi ovunque di solito ci sposteremmo in auto o con i mezzi, evitare ascensore e scale mobili etc.

Alla camminata possiamo aggiungere un allenamento aerobico, come bicicletta, nuoto o corsa.Da praticare per almeno 30-40 minuti a giorni alterni, durante la settimana, e fino a 2 ore nei weekend. Con l’indicazione che dopo i primi 10 minuti di allenamento si dovrebbe iniziare a sudare. Meglio andare in bici che correre. La corsa, infatti, può essere troppo traumatica a livello di articolazioni, soprattutto se non si è atleticamente preparati oppure in caso di sovraccarico di allenamento. Ottimo utilizzare la bici per gli spostamenti in città, come pure avere una cyclette in casa da usare ogni tanto.Anche il nuoto va bene, nonostante i suoi effetti benefici in termini longevità sono ancora poco studiati. L’importante è usare i muscoli ogni giorno, per stimolarli e mantenerli attivi, ma senza esagerare per non danneggiarli.

COME PRATICARE AL MEGLIO L’ATTIVITÀ FISICA E COSA MANGIARE DOPO

Diversi studi scientifici mettono in relazione attività fisica e longevità, con risultati analoghi. Ovvero che per aumentare la prospettiva di vita è necessario praticare un allenamento aerobico moderato, con movimenti che bruciano tra 3 e 6 volte di più calorie rispetto a quanto si sta seduti (3-6 MET), con picchi di esercizio intenso (>6 MET). La riduzione della mortalità, poi,è riferita a intensità e quantità settimanale: 150-300 minuti di attività aerobica moderata (300) o intensa (150). Per rafforzare la muscolatura, il consiglio è di eseguire esercizi (con o senza pesi) per un sovraccarico di 65-70% del carico massimale. Infine, nell’ arco di 1-2 ore dopo ogni allenamento, è fondamentale consumare un pasto che contenga circa 30 gr. di proteine (per favorire la crescita dei muscoli).

FONTI

  1. Valter Longo, “La dieta della longevità” -Vallardi 2016
  2. Peter Bowes,“Loma Linda: The secret to a long healthy life?” – BBC News, Loma Linda, California– (data ultimo accesso 19-04-2019)
  3. Buettner, “The Blue Zones, Second Edition Dan Buettner PDF 9 Lessons for Living Longer From the People Who’ve Lived the Longest” – National Geographic, 2012
  4. Gebel K. Et Al., “Effect of Moderate to Vigorous Physical Activity on All-Cause Mortality in Middle-aged and Older Australians”, JAMA Intern Med. 2015 Jun;175(6):970-7. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.0541.
  5. Arem H. et Al., “Leisure time physical activity and mortality: a detailed pooled analysis of the dose-response relationship”, JAMA Intern Med. 2015 Jun;175(6):959-67. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.0533
  6. Paddon-Jones D, Rasmussen BB. “Dietary protein recommendations and the prevention of sarcopenia” CurrOpin Clin NutrMetab Care – 2009 Jan;12(1):86-90. doi: 10.1097/MCO.0b013e32831cef8b
  7. Kumar V.et Al. “Age-related differences in the dose-response relationship of muscle protein synthesis to resistance exercise in young and old men” – J Physiol – 2009 Jan 15;587(1):211-7. doi: 10.1113/jphysiol.2008.164483. Epub 2008 Nov 10.

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
Fondazione Valter Longo Onlus ha l’obiettivo di fare divulgazione scientifica sensibilizzando la comunità scientifica e non, ad uno stile di vita salutare ed una corretta alimentazione tramite la produzione di articoli scientifici esplicativi, contenuti testuali, infografiche e multimediali, e la diffusione delle attività cliniche, scientifiche, divulgative ed educative della Fondazione e del suo team di professionisti. Percorsi alimentari, scoperte scientifiche, studi clinici, trattamenti e tecnologie, eventi di sensibilizzazione nazionale e internazionale, iniziative di prevenzione nonché ricette della Longevità sono solo alcuni dei temi affrontati in articoli e interviste di approfondimento pubblicati quotidianamente e scritti in collaborazione con gli specialisti della Fondazione. Attivissima anche sui social, la redazione di Fondazione Valter Longo Onlus propone inoltre una newsletter mensile inviata a tutti gli iscritti, per rimanere sempre aggiornati sulle più interessanti novità legate al mondo della Salute, Nutrizione e Longevità.

Partecipano alla redazione:
Romina Inés Cervigni
Alessandra Fedato
Maria Liliana Ciraulo
Corinna Montana Lampo
Cristina Villa

LO YOGA FA BENE A OGNI ETÀ, ANCHE DA ANZIANI

Che lo yoga faccia bene a mente e corpo è ormai risaputo. Tanto che arrivano continue conferme anche dal mondo scientifico. Una nuova ricerca dimostra che lo yoga fa bene a ogni età, anche agli anziani. A dirlo è uno studio pubblicato su International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity (marzo 2019), in seguito a un’indagine condotta da un team di ricercatori inglesi presso The University of Edimburg (UK).In particolare, lo yoga mantiene il corpo flessibile e in salute, anche in età avanzata; come pure favorisce un buon riposo notturno e scaccia il malumore, con un effetto benefico anche per la mente.

IL PRIMO STUDIO SULLO YOGA CHE HA CONSIDERATO RICERCHE PASSATE

Lo studio in questione ha riguardato l’analisi dei dati emersi da 22 indagini precedenti, considerando 27 record differenti.Sono stati valutati gli effetti benefici dello yoga: da un lato, nel migliorare la funzione fisica (17 record); dall’altro, nel migliorare la qualità della vita correlata alla salute. Per farlo, sono stati incrociati i dati di alcuni database, ricercati sistematicamente nel settembre 2017 (MEDLINE, PsycInfo, CINAHL Plus, Scopus, Web of Science, Cochrane Library, EMBASE, SPORTDiscus, AMED e ProQuest).

I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sui benefici che lo yoga può apportare, considerando un campione di persone anziane, di età media di 60 anni e oltre. Senza sceglieregli individui sulla base di particolari malattie o condizioni di salute specifiche, ma distinguendo i due gruppi attraverso l’intervento dello yoga rispetto a controlli inattivi (per esempio: controllo della lista d’attesa, libretti sanitari etc.) o controlli attivi (per esempio: camminata, aerobica in poltrona etc.). Sono, quindi, state condotte due analisi:una revisione sistematica e una meta-analisi di studi controllati randomizzati, calcolate utilizzando modelli a effetti casuali.

I BENEFICI DELLO YOGASE PRATICATO CON REGOLARITÀ

In base ai risultati ottenuti, si è così dimostrato che una pratica costante dell’antica disciplina indiana, con sessioni della durata tra 30 e 90 minuti apporta svariati benefici. Nella sfera fisica deibenefici sul corpo, migliorano: equilibrio e flessibilità, forza degli arti inferiori, nonché capacità di movimento in generale. Inoltre, si hanno effettisalutari anche per la psiche: migliora la qualità del sonno, si riduce il rischio di cadere in depressione (abbastanza comune in età avanzata) e viene potenziata la vitalità in chi pratica yoga.

Secondo i ricercatori autori di questo studio, lo yoga dovrebbe essere promosso nelle Linee Guida sulle attività fisiche indicate per gli anziani. Questa disciplina è indicata anche per gli anziani, poiché consiste in una serie di esercizi e movimenti(asana) adattabili a qualsiasi livello di prestazione fisica e ad ogni età. In particolare, è l’Hatha Yoga che si presta a questo tipo diadeguamento ad personam.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Divya Sivaramakrishnanet Al. – The effects of yoga compared to active and inactive controls on physical function and health related quality of life in older adults- systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials – International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity (March 2019)
  2. The University of Edimburg -NEWS -Yoga improves health in later life, study says (data ultimo accesso 22.07.2019)

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
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I MIRTILLI FANNO BENE AL CUORE

Mangiare mirtilli tutti i giorni riduce il rischio di malattie cardio-vascolari e diabete di tipo 2. A evidenziarlo è unaricerca portata avanti da un gruppo di ricercatori dell’UEA (University of East Anglia)in UK, in collaborazione con un team della Harvard University in USA. Lo studio è stato pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition (giugno 2019). Scopriamo insieme i dettagli di questa indagine scientifica.

QUAL È LA PORZIONE IDEALE DI MIRTILLI

Secondo i risultati dello studio, per la salvaguardia del nostro cuore, la dose giusta di mirtilli è di 150 grammi al giorno. Con questa porzione, infatti, si arriva a una riduzione del rischio cardio-vascolare del 12-15%. I ricercatori hanno indagato gli effetti del consumo di mirtilli nella dieta quotidiana su un campione di 115 individui (di età compresa tra 50 e 75 anni) in sovrappeso oppure obesi, affetti da sindrome metabolica.

L’indagine è stata portata avanti per 6 mesi e i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo consumava ogni giorno 150 grammi di mirtilli liofilizzati; il secondo ne ha assunto 75 grammi al giorno; mentre al terzo gruppo è stato somministrato un placebo con sapori e coloranti artificiali. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi afunzione vascolare, resistenza insulinica e livelli di colesterolo. Dai risultati è emerso che glieffetti benefici su funzionalità vascolare e miglioramento della rigidità delle arterie si sono avuti solo nel gruppo che aveva assunto la dose massima di mirtilli: ovvero 150 grammi al giorno.

COSA DETERMINA GLI EFFETTI BENEFICI

In precedenza, altre ricerche scientifiche avevano dimostrato che i mirtilli riducono il rischio di sviluppare malattie come il diabete di tipo 2. La spiegazione degli effetti benefici per il cuore risiede negli antociani. Flavonoidi ad alto potere anti-ossidante, presenti in tutti i frutti di bosco, che ne caratterizzano il colore rosso e blu. Questi composti naturali vengono metabolizzati nel nostro intestino per produrre sostanze utili per la flora batterica e che svolgono un ruolo chiave nel metabolismo.

UN “ANTIDOTO” CONTRO LA SINDROME METABOLICA

Laricerca anglo-americana, nello specifico, ha voluto indagare l’effetto delle antocianine in relazione alla sindrome metabolica. Condizione che riguarda un terzo degli adulti occidentali e che comprende la presenza concomitante di almeno tre dei seguenti fattori: ipertensione, iperglicemia, trigliceridi elevati, colesterolo “cattivo” alto ed eccesso di grasso addominale. Condizioni che determinano un aumento del rischio per le malattie cardio-vascolari e il diabete di tipo 2.In conclusione, secondo gli esperti, i mirtilli e gli altri frutti di bosco andrebbero inseriti nelle strategie alimentari per ridurre il rischio cardio-vascolare e proteggere la salute del cuore, soprattutto negli individui a rischio.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Peter J Curtis et Al. – Blueberries improve biomarkers of cardiometabolic function in participants with metabolic syndrome results from a 6-month, double-blind, randomized controlled trial – The American Journal of Clinical Nutrition, June 2019

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QUANTO PESA L’OBESITÀ

Sono trascorsi oltre quattro mesi da quando, il 9 gennaio 2020, il nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 è stato identificato in Cina, come causa della malattia respiratoria oggi nota come Covid-19.

Dall’inizio dell’epidemia sono quasi 4 milioni i casi nel mondo, con oltre 270mila morti. Purtroppo il nostro paese è stato tra quelli più colpiti, con quasi 200mila casi accertati dall’inizio dell’epidemia e oltre 30mila persone decedute.

Sebbene la tendenza dei contagi e dei decessi sia in miglioramento da alcune settimane, secondo l’OMS il rischio è ancora moderato per la popolazione generale, mentre per gli anziani e i soggetti con patologie croniche il rischio è ancora elevato.

In questo articolo Dati Coronavirus alla mano, abbiamo già parlato di come la presenza di altre patologie (ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, oltre alle malattie oncologiche) aumenti in modo significativo la mortalità per Covid-19. Si tratta di patologie spesso correlate all’obesità, e non stupisce quindi che il decorso di questa nuova infezione sia risultato tipicamente più grave e difficoltoso nei pazienti con peso in eccesso.

OBESITÀ

L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, causata nella maggior parte dei casi da uno stile di vita non sano, e principalmente dalla combinazione di alimentazione sregolata (troppo cibo e/o cibo di cattiva qualità) e scarsa attività fisica.

Tecnicamente, si parla di obesità quando il rapporto tra il peso e il quadrato dell’altezza in metri, ossia l’Indice di Massa Corporea (IMC) nota anche come BMI (dall’inglese Body Mass Index), supera il valore di 30 kg/m2. Ad esempio, una persona che pesa 95 kg ed è alta 1,7 m, avrà un IMC di 32,8 Kg/m2: 95 Kg/1,7m2.

L’obesità è un grande problema per la salute pubblica, sia per il grande numero dei soggetti affetti (in Italia 1 persona su 10), che per le sue complicanze: malattie cardiovascolari (soprattutto ictus e infarto), ipertensione, diabete mellito di tipo II, sindrome metabolica, alcune tipologie di tumori (tra cui colon-retto, reni, mammella, prostata), malattie muscolo-scheletriche come l’artrosi.

OBESITÀ E COVID-19

Secondo diverse indagini, tra cui quelle svolte in Francia e negli USA, le persone obese che si ammalano di Covid-19 hanno più bisogno di ventilazione polmonare, ovvero si ammalano in forma più grave rispetto a persone normopeso.

Nell’indagine francese, il 90% delle persone con un grave sovrappeso ha avuto bisogno di ventilazione meccanica, ed è stato osservato che il rischio di ricovero in terapia intensiva aumenta all’ aumentare del IMC, rischio che infatti si dimezza in pazienti con peso normale; nello studio svolto a New York tra i pazienti in terapia intensiva, oltre il 40% era obeso.

I pazienti obesi infatti partono già con difficoltà respiratorie, dato che il grasso a livello toracico e addominale va a comprimere i polmoni, riducendo la capacità di riempirli d’aria. In generale, i pazienti obesi hanno anche una maggiore necessità di ossigeno, poiché il loro organismo ha un’estensione maggiore e ne richiede di più.

Questi pazienti quindi partono già con un rischio più elevato di ammalarsi di affezioni respiratorie, rispetto ai pazienti normopeso, infatti circa il 13% dei soggetti obesi sviluppa patologie come bronchite cronica, asma, enfisema o insufficienza respiratoria.

SISTEMA IMMUNITARIO E INFIAMMAZIONE

Oltre alle difficoltà respiratorie di partenza, i soggetti obesi presentano spesso un’infiammazione cronica (anche di basso grado) e squilibri del sistema immunitario.

Il grasso infatti rappresenta una riserva di cellule immunitarie, tra cui macrofagi, che eliminano gli agenti patogeni (come virus e batteri), e linfociti T, che segnalano al resto dell’organismo la presenza dell’agente infettivo.

Nei pazienti che hanno un eccesso di massa grassa, quindi, c’è un surplus di queste cellule dell’immunità, il che comporta una reazione immune più intensa quando si ammalano, una grande “tempesta di citochine” (proteine pro-infiammatorie).

È stato osservato che la reazione immunitaria può danneggiare il paziente più del virus stesso, e non a caso molti farmaci attualmente in sperimentazione sono immunosoppressori, o antinfiammatori.Di conseguenza, è facilmente intuibile perché i pazienti obesi hanno mostrato spesso un decorso peggiore.

CONCLUSIONI E CONSIGLI PRATICI

Alla luce di tutte queste considerazioni, le persone affette da obesità dovrebbero prestare ancora più attenzione e attenersi strettamente alle misure di prevenzione emanate dal Governo, per proteggersi dall’ infezione da SARS-CoV-2. Può essere utile anche consultare le Linee guida nutrizionali elaborate dalla Fondazione Valter Longo Onlus su norme igieniche e indicazioni alimentari per sostenere il sistema immunitario e nutrirsi con consapevolezza.

Infatti, oltre alle indicazioni legate alla prevenzione del Coronavirus, è fondamentale apportare modifiche allo stile di vita per ridurre l’eccesso di grasso, riportando gradualmente il proprio peso nella norma.

Questo può essere raggiunto aumentando l’attività fisica svolta (in base al proprio stato di salute)e migliorando l’alimentazione.

Anche se attualmente palestre e centri sportivi sono chiusi, è possibile svolgere camminate o giri in bicicletta se si ha la possibilità di raggiungere luoghi poco inquinati e non troppo frequentati. Altrimenti, è possibile svolgere corsi anche in casa, come ad esempio esercizi di respirazione e di rilassamento presso la propria abitazione.

Per quanto riguarda l’alimentazione, restano valide le indicazioni proposte ne “La dieta della Longevità” riportate nel seguente link, non solo per normalizzare il peso, ma anche per ridurre il rischio di sviluppare diverse patologie croniche (come quelle cardiovascolari e il diabete) che, oltre a essere associate a una vita più breve e di ridotta qualità, aumentano anche il rischio di ammalarsi di Covid-19.

FONTI

  1. http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5338&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto
  2. http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5351&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto
  3. http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?area=Malattie_endocrine_e_metaboliche&id=175
  4. https://epicentro.iss.it/obesita/epidemiologia-italia
  5. https://www.insalutenews.it/in-salute/covid-19-i-pazienti-muoiono-traditi-dal-loro-stesso-sistema-immunitario-parola-dordine-calmare-la-tempesta/
  6. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32271993
  7. http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2386_allegato.pdf
  8. Vgontzas AN, Bixler EO, Papanicolaou DA, Chrousos GP. Chronic Systemic Inflammation in Overweight and Obese Adults. 2000;283(17):2235–2236. doi:10.1001/jama.283.17.2235
  9. Vgontzas AN, Bixler EO, Papanicolaou DA, Chrousos GP. Chronic Systemic Inflammation in Overweight and Obese Adults. 2000;283(17):2235–2236. doi:10.1001/jama.283.17.2235
  10. https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/downloads/Huang-2019-nCoV-clinical-features-Lancet-1-24-2020.pdf
  11. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2010419
  12. https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30566-3/fulltext

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GENI E INVECCHIAMENTO: LA STRATEGIA MOLECOLARE CHE ALLUNGA LA VITA

Per capire come mantenerci giovani, in primo luogo è necessario conoscere i meccanismi che stanno alla base e che regolano la longevità. A parte il nostro corredo genetico, che ereditiamo e su cui al momento non è ancora possibile agire, per garantirci una vita sana e longeva possiamo mettere in atto alcune strategie in grado di promuovere effetti protettivi, rigeneranti e ringiovanenti. Si tratta principalmente di seguire piani alimentari equilibrati che aiutano a mantenere il nostro corpo in buona salute e più a lungo.

LE RICERCHE SCIENTIFICHE SULL’INVECCHIAMENTO
Diversi studiosi in tutto il mondo hanno concentrato e concentrano le loro ricerche sui sistemi di invecchiamento. In principio, sono stati condotti esperimenti di laboratorio sui topi e indagini sull’uomo. Organismi troppo complessi per riuscire a identificare in tempi brevi i geni responsabili dell’invecchiamento e comprendere in che modo agiscono. Ecco che, quindi, l’attenzione è stata spostata su un organismo monocellulare: il Saccharomyces cerevisiae. Ovvero il lievito da panificazione: organismo formato da una sola cellula, semplice da reperire, facile da studiare e anche da modificare geneticamente. Grazie allo studio della “vita cronologica del lievito” è stato possibile identificare i geni responsabili dell’invecchiamento.

Dagli studi condotti sul Saccharomyces cerevisiae, Valter Longo ha scoperto che “affamandolo”, ovvero spostando le cellule da un liquido ricco di zuccheri e altre sostanze nutritive a solo acqua, il lievito viveva il doppio. Inoltre, Longo ha scoperto che lo zucchero è il nutriente che fa invecchiare più rapidamente e morire il lievito, attivando i geni Ras e PKA da un lato, e inattivando fattori ed enzimi che lo proteggono dall’ossidazione, dall’altro. Il passo successivo fu quello di identificare l’intera “via metabolica dello zucchero” nel processo di invecchiamento, che vede l’ormone della crescita come il regolatore principale. In seguito, sono stati condotti studi sui vermi, dando esito alla scoperta di altri geni che regolano l’invecchiamento, tra cui daf-2 e Tor-S6K.

LA STRATEGIA MOLECOLARE CHE ALLUNGA LA VITA
Le scoperte sui lieviti e sui vermi portarono a ipotizzare che gli organismi viventi invecchiano in modo simile, e che la “strategia molecolare” per allungare la vita sono analoghi. In un secondo tempo, queste ipotesi vennero confermate da studi di laboratorio condotti sui topi. Venne, poi, fornita la prima prova che gli stessi geni e le stesse vie metaboliche proteggono anche gli esseri umani dalle malattie collegate all’invecchiamento. I risultati arrivarono da un’indagine condotta in Equador analizzando un gruppo di persone affette da un particolare tipo di nanismo, la sindrome di Laron, in cui manca il recettore dell’ormone della crescita. Venne pubblicato uno studio in cui risulta una bassissima incidenza di casi di diabete e tumore in questi individui, nonostante abbiano uno stile di vita pessimo e un’alimentazione sregolata. Si desume che gli individui affetti dalla sindrome di Laron, con mutazioni del recettore dell’ormone della crescita, sono protetti dalle malattie legate all’invecchiamento. Da qui la conferma che geni simili controllano l’invecchiamento sia in organismi semplici, come i lieviti, sia in quelli più complessi, come l’uomo.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
  2. Longo VD et al.; Replicative and chronological aging in Saccharomyces cerevisiae; Cell Metabolism 2012 Jul.
  3. Hu J et al.; Assessing chronological aging in Saccharomyces cerevisiae; Methods Mol Biol. 2013
  4. Longo VD, Fabrizio P.; Chronological aging in Saccharomyces cerevisiae; Subcell Biochem. 2012
  5. Dorman JB et al.; The age-1 and daf-2 genes function in a common pathway to control the lifespan of Caenorhabditis elegans; Genetics. 1995 Dec;141(4):1399-406
  6. Gottlieb S, Ruvkun G.; daf-2, daf-16 and daf-23: genetically interacting genes controlling Dauer formation in Caenorhabditis elegans. Genetics. 1994 May
  7. Hu J et el.; Tor-Sch9 deficiency activates catabolism of the ketone body-like acetic acid to promote trehalose accumulation and longevity; Aging Cell. 2014 Jun.
  8. Guevara-Aguirre J et al..; GH Receptor Deficiency in Ecuadorian Adults Is Associated With Obesity and Enhanced Insulin Sensitivity; J Clin Endocrinol Metab. 2015 Jul.